Il rappresentante dell’Associazione Luca Coscioni era finito a processo dopo la morte di Dj Fabo, con l’accusa di averlo accompagnato in Svizzera per porre fine alla sua vita

La Corte d’Assise di Milano ha assolto “perché il fatto non sussite” Marco Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio in relazione alla morte di Dj Fabo (Fabiano Antoniani) l’uomo rimasto tetraplegico e cieco a causa di un incidente stradale. Il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni era finito a giudizio per averlo accompagnato a morire in una clinica in Svizzera.

Antoniani, secondo il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, “è stato libero di scegliere di morire con dignità”. A detta del magistrato, la scelta di Dj Fabo è avvenuta in conformità alle condizioni individuate dalla Corte Costituzionale per escludere che l’accompagnamento di un malato a morire sia considerato un reato.

Dj Fabo, ha sottolineato Siciliano, soffriva di “una patologia irreversibile che gli procurava “gravi sofferenze fisiche e psicologiche”. Il paziente “dipendeva dalle macchine che lo tenevano in vita” e ha preso “una decisione libera e consapevole” di morire.

“Fino alla mattina della morte – ha spiegato ancora il sostituto procuratore – Cappato gli ha prospettato la possibilità di scegliere una via alternativa”. 

Cappato, che nel corso dell’udienza ha ricevuto la notizia della morte della madre, ricoverata in ospedale a Milano, ha rilasciato in aula una dichiarazione spontanea, chiedendo ai giudici di assolverlo riconoscendo “il diritto all’autodeterminazione individuale” a persone che, come Fabiano Antoniani, ritengano non dignitose le condizioni in cui versano.

“Non è la tecnica del tenere in vita o del fare morire a essere rilevante – ha detto – ma la condizione di vita, di dignità e di libertà che ciascuno vuole garantire a se stesso”. Inoltre, il rappresentante dell’Associazione Luca Coscioni ha evidenziato come attualmente “la possibilità di andare a morire in una clinica Svizzera non è alla portata di quasi nessuno rispetto alla persone che ritengono di averne bisogno per il costo del viaggio e la lunghezza della procedura”.

“Ritenere necessaria la presenza di un trattamento di sostegno vitale per ammettere l’aiuto al suicidio – ha aggiunto – creerebbe una discriminazione irragionevole e incostituzionale tra chi è tenuto in vita artificialmente e quanti non lo sono ancora perché si imporrebbe a questi ultimi di accettare un trattamento invasivo al solo scopo di poter chiedere assistenza al suicidio”. 

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