La discopatia L5 -S1 con vistose ernie intraspongiose e modificazione del segnale a substrato degenerativo dei piatti epifisari è accompagnata da valutazione circa la natura malformativa, e non già tecnopatica da sovraccarico biomeccanico, dell’ernia intraspongiosa di Shmorl (Tribunale di Venezia, Sez. Lavoro, Sentenza n. 492/2021 del 05/08/2021-RG n. 1895/2019)

Il lavoratore cita a giudizio l’Inail lamentando il mancato riconoscimento dell’origine lavorativa di un’ernia discale L5 -S1, stimata nel 8%, da valutarsi in aggiunta ai postumi di un infortunio sul lavoro all’anulare sinistro pari all’1% con conseguente valutazione complessiva del danno biologico permanente nella misura del 9%. Il ricorrente deduce di avere svolto dal 1991 mansioni di operaio e di avere contratto l’ernia discale a causa delle posture incongrue del rachide e della movimentazione manuale di carichi continuative per 27 anni.

L’Istituto costituendosi in giudizio contesta la domanda e allega che l’esito dell’istruttoria attivata a seguito della presentazione in data 31.7.2018 della denuncia della malattia professionale è stato negativo sul rischio professionale, non essendo emersa, dalla documentazione inviata dal datore di lavoro sulle specifiche mansioni del ricorrente, evidenza di rischi da movimenti manuali di carichi (MMC), né da vibrazioni (WBV), né, tantomeno posture incongrue; rimarca inoltre che l’evidenziazione, da risonanza magnetica alla colonna lombo-sacrale effettuata il 4.6.2018, di “discopatia L5 -S1 con vistose ernie intraspongiose e modificazione del segnale a substrato degenerativo dei piatti epifisari” è accompagnata da valutazione circa la natura malformativa, e non già tecnopatica da sovraccarico biomeccanico, dell’ernia intraspongiosa di Shmorl.

Il Giudice dispone CTU Medico-Legale e ritiene la domanda fondata.

Le mansioni lavorative, come allegate dal ricorrente, risultano confermate dalle prove testimoniali.

Tutti i testi ascoltati, difatti, hanno confermato che il lavoratore era addetto alla lavorazione e alla movimentazione manuale di carichi (lunghe barre in truciolare MDF , del peso di 15 -18 KG, lunghe dai metri 4 ai 5,60 e larghe 60 cm, spessore da 11 a 18 cm). La movimentazione è completamente meccanizzata da circa 5 anni. In precedenza, invece, era tutto manuale.

I lavoratori dovevano posizionare i pannelli su un carello che poi veniva utilizzato per raggiungere le postazioni delle macchine dove dovevano essere lavorati per la stondatura; per “caricarli” su tali macchine, i pannelli dovevano spingerli manualmente lungo le rulliere meccaniche con sforzo non solo di spalle e braccia, ma anche busto e gambe; le rulliere si bloccavano spesso per cui bisognava spingere i pannelli completamente a mano con uno sforzo superiore.

Altro teste ha aggiunto che “Anche a desso che il processo è meccanizzato rimane però comunque manuale (nel senso che i pannelli devono essere spinti a mano) l’operazione di movimentazione dei pannelli dalla postazione in deposito alla navetta per portarli alla stondatura quando il passaggio da taglio a stondatura non è immediato, bensì la stondatura viene effettuata quando serve su pannelli già andati a deposito dopo il taglio” .

Confermato, pertanto, che dal 1991 il ricorrente ha sempre svolto mansione di operatore addetto al carico e scarico di materiale da vari macchinari (spigolatrice, levigatrice e stondatrice), fino a 5 anni fa movimentando tavole in truciolato e MDF dal peso unitario compreso fra 15 e 25 Kg, larghe dai 40 ai 60 cm e lunghe dai 120 ai 230 cm in modo completamente manuale, senza l’ausilio di macchinari di sollevamento, inoltre scaricando le tavole manualmente dal piano della macchina posto a circa 80 cm dal suolo fino ai bancali posti a terra; dal 2008 è stato adibito all’attuale attività di conduzione della macchina utilizzata per la stonatura che esegue prelevando da una navetta elettrica le tavole necessarie all’alimentazione di due macchine operatrici smistandole sui ripiani dei carrelli di una navetta utilizzata per trasportare le materie prime all’interno delle varie aree dello stabilimento facendole scorrere su rulliere metalliche che a causa del pessimo stato manutentivo si bloccano spesso soprattutto nella parte terminale del percorso cosi da costringere l’operaio a spingerle con forza con flessioni e torsioni del busto; lavora inoltre ad una macchina da taglio effettuando continuativamente la movimentazione manuale delle tavole in base alle esigenze di produzione.

Solo negli ultimi 5 cinque anni l’ impegno fisico è stata piu’ ridotto a seguito di una maggiore meccanizzazione del processo produttivo.

Dalla CTU espletata risulta provata la patologia lamentata (discopatia lombare L5 -S1), il nesso di causa con l’attività lavorativa e invalidità complessiva, tenuto conto di ulteriore 1% per pregresso già riconosciuto infortunio ad un dito della mano, in misura pari al 6%.

Il CTU, confermata la sussistenza della discopatia lombare, ne ha affermato in termini di elevata probabilità e di concausalità, la riconducibilità allo svolgimento dal 1991 dell’ attività lavorativa manuale con credibile movimentazione manuale ripetuta di tavole di legno pesanti, tale da comportare la necessità di frequenti torsioni e flessioni del busto.

Il Consulente ha precisato “che l’ uso della forza manuale per trasferire oggetti o persone è fra gli elementi di possibile sovraccarico meccanico del rachide dorso -lombare e della spalla mentre durante le operazioni di movimentazione manuale, anche in funzione della postura assunta, del peso e delle dimensioni dell’oggetto movimentato, del tragitto che deve compiere, delle caratteristiche antropometriche e di genere del soggetto, si determinano, fra le altre, forze compressive o “di taglio” sulle strutture del rachide lombare (dischi intervertebrali, limitanti vertebrali, articolazioni interapofisarie) che singolarmente, ancor di più se ripetute e prolungate, possono condurre a microlesioni o lesioni delle strutture stesse…(..).. con criterio di elevata probabilità scientifica, il ciclo lavorativo e la prolungata attività di movimentazione manuale di pesanti tavole ripetuta con posture incongrue del rachide per un periodo di tempo trentennale di attività hanno in concreto contribuito a concausare il processo morboso da cui è affetto il ricorrente …..(..).. la documentazione sanitaria non consente una determinazione precisa non essendovi stati momenti di vera e propria “acuzie” con assenza lavorativa a parte un periodo di 41 giorni nel 2012 (dal 05/04 al 25/05/12 ) ricondotto tuttavia ad infortunio sul lavoro. Le conseguenze di ordine permanente sono invece confermate e stimate nel 6% ex D. Lgs. 38/00 comprensivo anche dell’1% precedente già riconosciuto nel 2008 per l’infortunio sul lavoro al IV° raggio della mano destra”.

Considerata l’assenza di osservazioni da parte dei CTP, il Giudice condivide integralmente la consulenza facendola propria.

Il ricorso viene accolto e le spese di lite vengono regolamentate secondo la regola della soccombenza.

Conclusivamente, il Tribunale, in funzione di Giudice del Lavoro, accerta che il ricorrente è affetto da malattia professionale (discopatia lombare L5 -S1), ) con postumi invalidanti permanenti pari, tenuto conto anche dell’1% già riconosciuto nel 2008 per l’infortunio sul lavoro al IV° raggio della mano destra, al 6% complessivo; condanna l’Inail a corrispondere la relativa prestazione con decorrenza dalla domanda amministrativa oltre ad interessi di legge sui ratei già maturati dal dovuto al saldo; condanna l’Inail alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 1.800,00 + euro 305,00 per spese di CTP; pone le spese di CTU a carico dell’Istituto.

Avv. Emanuela Foligno

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