Negligenza omissiva nella tenuta della cartella clinica (Tribunale Roma, Sentenza n. 16475/2023 pubblicata il 14/11/2023).
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., il coniuge e la figlia del paziente adivano il Tribunale chiedendo in via preliminare di acquisire agli atti del giudizio il fascicolo d’ufficio e la relazione di consulenza tecnica d’ufficio resa nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. e, nel merito, di accertare e dichiarare che il decesso del proprio congiunto, ovvero la minor durata e la peggiore qualità della vita residua, fossero riconducibili alla condotta colpevole dei sanitari della Casa di Cura nel corso del ricovero del paziente dal 01/12/2011 al 14/01/2012.
La vicenda giudiziaria
A sostegno della domanda, le attrici affermavano:
- che il paziente, in data 01/12/2011, veniva ricoverato presso la Casa di Cura per la riabilitazione, in seguito ad intervento chirurgico di endoprotesi cementata del femore sinistro eseguito il 25/11/2011 presso l’Ospedale di Monterotondo;
- che il paziente era stato in precedenza sottoposto a pregressa amputazione dell’avampiede sx per microangiopatia diabetica, era affetto da diabete mellito, cardiopatia ischemico ipertensiva, pregresso IMA, portatore di stent e di psicosi non specificata;
- che all’ingresso nella Casa di Cura venivano effettuati una serie di accertamenti clinici, fra i quali la ripetizione di un RX torace che, diversamente da quello effettuato in data 21/11/2011, evidenziava una tenue opacità sottoclaveare sx.; che gli esami di laboratorio non mostravano alterazioni rilevanti;
- che il paziente iniziava, quindi, il percorso di riabilitazione fisioterapica e veniva sottoposto a periodici esami ematici;
- che in data 11/01/2012 i controlli ematici rivelavano una iponatremia (NA 124 mE) che veniva corretta con infusione di sodio;
- che nei giorni successivi, tuttavia, non risultava dalla cartella clinica che fossero stati effettuati controlli per verificare le condizioni del paziente ed in particolare se i valori di sodio nel sangue fossero tornati nella norma;
- che la moglie del paziente riferiva di avere sentito telefonicamente il marito la sera del 13 gennaio e di aver percepito un tono della voce stanco e sofferente;
- che il 14/01/2012 alle ore 07:20 veniva constatato il decesso dell’uomo; che nella diagnosi di morte, in maniera assolutamente generica, veniva riportato: “postumi di frattura collofemore sinistro, diabete mellito, insulino– dipendente, ipertensione arteriosa”;
- che alla luce dell’improvviso, inaspettato ed incomprensibile decesso, i familiari facevano esplicita richiesta affinché venisse eseguito riscontro autoptico che, tuttavia, non veniva eseguito.
La cartella clinica presenta un vuoto di informazioni
Nell’ambito del procedimento di ATP, i consulenti accertavano una condotta negligente imperita ed imprudente del personale sanitario della Casa di Cura.
Le parti attrici allegavano che la cartella clinica presentava un vuoto di informazioni e registrazione in riferimento sia alle condizioni del paziente sia alle terapie effettuate e ciò in particolar modo nei giorni che precedevano la sua morte.
Riscontravano pertanto una negligenza omissiva nelle modalità con cui era stata tenuta e compilata la cartella clinica. Ritenevano inoltre censurabile la scelta di non provvedere ad un riscontro autoptico sulla salma del paziente che, invece, avrebbe costituito un atto obbligatorio nei casi di morte inaspettata e con diagnosi incerta. Ancora, contestavano una errata ed inadeguata gestione della iponatriemia da parte dei sanitari ed un errato atteggiamento diagnostico e terapeutico adottato dagli stessi a fronte dello specifico quadro clinico presentato dal paziente e delle pregresse patologie del paziente risultanti dall’anamnesi, in particolare evidenziando l’omessa esecuzione di esami e consulenza cardiologica pur in presenza di paziente ad alto rischio di ischemia miocardica.
La difesa della Casa di Cura
La Casa di Cura, nel costituirsi, evidenziava le gravi comorbilità da cui era affetto il paziente e deduceva che il suo decesso si era verificato non in conseguenza di un “edema cerebrale per progressiva iponatriemia”, bensì a causa di una insufficienza cardio-circolatoria acuta, determinata dalle numerose patologie (cardiologiche, metaboliche, circolatorie e diabetiche) da cui lo stesso era affetto. Secondo la tesi della Struttura, la sussistenza di tali patologie aveva determinato un irreversibile danneggiamento del sistema cardiocircolatorio, che, in presenza di una situazione coronarica già altamente compromessa, comportava l’inevitabile decesso. Ed ancora, sosteneva che i Consulenti dell’ATP, nel tentativo di ricostruire le “possibili” cause del decesso, si erano limitati a formulare delle mere ipotesi.
La CTU svolta nel giudizio nega la responsabilità della Struttura
Il Tribunale ritiene la domanda attorea infondata in quanto la CTU svolta nel giudizio ha negato la responsabilità della Struttura convenuta. Infatti i CCTTU hanno così dichiarato: “La diagnosi posta all’ingresso presso la Casa di Cura fu correttamente e tempestivamente formulata” (…) “Il trattamento sanitario, farmacologico e assistenziale prescelto poteva ritenersi astrattamente adeguato rispetto al caso specifico, avuto riguardo alla diagnosi correttamente e tempestivamente formulata ed ai rimedi comunemente praticati secondo la migliore scienza ed esperienza medico-chirurgica del tempo” (…)“Il trattamento prescelto venne correttamente praticato, tenuto conto delle specifiche patologie del de cuius”.
In relazione all’esecuzione del trattamento hanno accertato: “Il trattamento venne eseguito in conformità delle metodiche medico-chirurgiche stabilite dalla prassi o dalla scienza medica dell’epoca dei fatti” (…) “nel caso di specie si deve rilevare che in data 20.11.2011 presso l’Ospedale di Monterotondo venivano misurate una sodiemia pari a 134 mEq/L e contemporaneamente una glicemia pari a 350 mg/dl: la sodiemia corretta è 134 + 2,4 x (250/100) = 140 mEq/L, e quindi del tutto normale. In ingresso il 02.12.2011 presso la Casa di cura la sodiemia misurata era pari a 134 mEq/L, la glicemia 190: la sodiemia corretta era 134 + 2,3 = 136,5 e, quindi, del tutto normale. Lo stesso giorno veniva instaurata terapia con Seroquel. In data 11.01.2012 la sodiemia misurata era 124 mEq/L e contemporaneamente la glicemia era 108 mg/dl: NON doveva essere operata alcuna correzione e la sodiemia era da considerarsi bassa.”
L’iponatriemia
Sulla velocità con la quale si è verificata la iponatriemia: “nel caso di specie, questa si è verosimilmente verificata in più di 48 ore. Nei casi di iposodiemia acuta è indicata una sofisticata definizione diagnostica, la quale prevede controllo giornaliero o anche due volte al dì della sodiemia e della sodiuria, della osmolarità plasmatica e della emogasanalisi. Nei casi di iposodiemia moderata-grave, cronica, con sintomatologia neurologica lieve-moderata, come nel caso di specie, è del tutto condivisibile (e comunemente messo in opera in ambiente ospedaliero) un approccio pratico, che consiste nel correggere la iposodiemia mediante infusione di soluzioni ipertoniche, cioè contenenti una concentrazione di sodio superiore a quella normalmente contenuta nel sangue.
L‘unica attenzione richiesta è che TUTTE le variazioni di osmolarità, e quindi di sodiemia, vanno effettuate lentamente al fine di evitare problemi potenzialmente molto gravi (mielolisi pontina).
In linea generale si consiglia di non superare un aumento di 10 mEq/L di sodiemia nelle prime 24 ore di trattamento, per non incorrere nel rischio di gravi danni cerebrali. (…) la iponatriemia era moderata-grave (124 mEq/L), cronica, con sintomatologia non ben definita in cartella, ma certamente modesta. (…) I colleghi CC.TT.U., che ci hanno preceduto nell’accertamento tecnico preventivo, hanno estesamente affrontato il problema della iposodiemia indotta da farmaci, considerando il Seroquel appartenente alla classe degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), i quali notoriamente possono causare iposodiemia.
Senza scendere in tecnicismi eccessivi, in concreto la sostanza non cambia: è probabile che la iposodiemia cronica sia stata causata dalla somministrazione del Seroquel, probabilmente associata ad una alimentazione per os insufficiente, quindi ad una bassa assunzione di sodio per bocca, la quale normalmente evita il problema degli effetti iposodiemici di tali farmaci. (…)
Rimane censurabile non aver disposto un controllo della sodiemia per il giorno 12.01.2012 oppure 13.01.2012 (dopo 24 o 48 ore di infusione), mentre riteniamo che sarebbe stato del tutto superfluo, nel caso di specie, il controllo della sodiuria, della diuresi e degli scambi gassosi mediante emogasanalisi. In sostanza riteniamo, sulla base dei calcoli esposti, che i valori della sodiemia siano lievemente e lentamente aumentati nei giorni successivi al 11.01.2012 e che una morte da mielolisi pontina sia, pertanto, categoricamente da escludere“.
Il controllo della sodiemia
Ergo, l’unica censura che potrebbe essere attribuita, secondo i CCTTUU, ai sanitari è il fatto di non aver disposto un controllo della sodiemia per il giorno 12/01/2012, oppure 13/01/2012 (dopo 24 o 48 ore di infusione). Tuttavia i CTU hanno ritenuto che la causa della morte non possa essere attribuita alle cure prestate dai sanitari della struttura convenuta, spiegando le ragioni per le quali non ritengono possibile che la morte sia stata causata dalla non corretta correzione della iposodiemia.
Oltre a ciò, il Tribunale osserva che, nella CTU svolta nel precedente giudizio di ATP, i Consulenti avevano ritenuto che la morte del paziente fosse compatibile con le conseguenze di una iposodiemia erroneamente trattata, ma al contempo indicato che “l’analisi della letteratura scientifica internazionale evidenzia però che il decesso di un paziente con valori ridotti di iposotrinemia avviene generalmente per le comorbilità presentate dallo stesso più che per l’iponatriemia in sé” e che, comunque, non era possibile identificare una causa di morte certa, essendovene, altre alternative rispetto a quella ritenuta compatibile, dagli stessi CTU indicate.
Non risulta quindi provato dalla parte attrice, secondo i criteri giurisprudenziali il nesso causale tra le condotte negligenti imputate ai convenuti e l’evento del decesso o della riduzione delle chance di sopravvivenza del paziente.
La domanda di risarcimento del danno formulata dalle attrici viene rigettata.
Avv. Emanuela Foligno