Il paziente, il 21/5/2007, è stato sottoposto, presso la casa di Cura l’Immacolata (AQ) a un intervento chirurgico al secondo dito della mano sinistra, che presentava una ulcerazione. Dopo qualche mese, precisamente nell’agosto del 2007, a seguito della comparsa di alcune macchie sotto l’ascella, l’uomo ha effettuato una ulteriore visita, a seguito della quale il medico, saputo del precedente intervento al dito, ha chiesto di poter visionare la documentazione clinica della precedente operazione chirurgica che veniva rilasciata solamente il 15/10/2007.
In seguito a ulteriori esami, si scoprì che si trattava di una metastasi di particolare gravità, che conduceva sia ad una chemioterapia che ad ulteriori interventi chirurgici. Tuttavia il primo intervento chirurgico fu effettuato solo l’8 febbraio 2008 per l’asportazione del pacchetto linfonodale ascellare di chiaro aspetto neoplastico metastatico. Il 15 maggio 2008 i medici constatarono di dover procedere a ulteriori interventi chirurgici. Dimesso con una prognosi di sopravvivenza molto esigua, il decesso avveniva dopo 3 mesi.
La vicenda giudiziaria
Pertanto, gli eredi hanno agito in giudizio nei confronti della Casa di Cura L’Immacolata, contestando il ritardo nella consegna dell’esame istologico (oltre cinque mesi dall’intervento) che sarebbe stato causa del successivo decesso.
Secondo i ricorrenti, la Casa di Cura aveva omesso per oltre 5 mesi di comunicare al paziente l’esame istologico che aveva certificato la presenza di un tumore maligno e, di conseguenza, aveva impedito la fondamentale stadiazione del tumore stesso e la necessaria successiva attività chirurgica e medica (allargamento della resezione, TAC total body, valutazione del linfonodo sentinella, terapia chirurgia e/o oncologica), determinando, per tale via, un anno di sofferenze e patimenti culminati con la morte.
Il Tribunale di Avezzano, disposta una CTU, riconosceva un nesso di causa tra quel ritardo e la “perdita delle probabilità di sopravvivenza”, liquidando sia un danno iure hereditatis che un danno iure proprio (inferiore) a quanto richiesto dai ricorrenti.
La decisione di primo grado è stata impugnata dagli eredi per ogni aspetto liquidato, anche in termini di spese legali: la Corte di Appello ha rigettato l’impugnazione riguardo ai primi due motivi inerenti al danno iure hereditatis e iure proprio, accogliendo solo il motivo sulla riforma delle spese legali.
Il rigetto della Cassazione
La Corte d’Appello, nel confermare la sentenza di primo grado, ha affermato che la domanda e le allegazioni dagli attori sono state correttamente qualificate come condanna al risarcimento da perdita di chance di sopravvivenza del paziente. Infatti le peggiori condizioni di vita e le sofferenze patite non sono connesse causalmente alla condotta omissiva (il ritardo nella comunicazione della diagnosi), ma alla particolare aggressività della forma tumorale e al ritardo con cui il paziente si sarebbe rivolto ai medici, posto che a sessanta giorni dall’intervento la vittima si era sottoposta a una ecografia che aveva in ogni caso rivelato una metastasi all’ascella sinistra ed egli era già nella condizione di potere effettuare ulteriori accertamenti diagnostici, che ha per sua scelta ritardato sino al 15 ottobre 2007.
Il ritardo, pertanto, poteva essere imputato alla Casa di Cura che non ha comunicato la diagnosi solo nel limite dei 60 giorni. Inoltre, ha ritenuto che non fosse stato acquisito alcun elemento indiziario per affermare che una diagnosi tempestiva avrebbe potuto garantire una migliore qualità della vita, atteso che l’escissione del tumore primario è avvenuta tardivamente perché il paziente si è rivolto tardivamente ai sanitari anche in relazione al primo intervento.
Ebbene, sostengono i ricorrenti che gli accertamenti di fatto e le relative statuizioni del primo Giudice non sono state oggetto di appello, essendo la questione sottoposta al Giudice dell’appello limitata all’accertamento del quantum del danno.
Il danno iure hereditatis e iure proprio
La Cassazione rammenta che costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente. Questa autonomia manca non solo nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verte in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione.
Nel caso specifico, un capo autonomo della sentenza di prime cure impugnata afferisce alla valutazione del danno morale e del danno biologico iure hereditatis subito dal congiunto per la perdita di chance e delle suddette prove. Altro capo autonomo riguarda l’esclusione del danno parentale iure proprio subito dagli eredi del congiunto, escluso con riferimento all’evento morte, e limitato solo in relazione al danno biologico temporaneo subito dal congiunto e alla relativa lesione del rapporto parentale.
La Corte d’Appello nel riesaminare le prove acquisite, ha confermato il capo autonomo della sentenza in tema di danno iure hereditatis sulla base di diverse argomentazioni in fatto, in ciò revisionando il giudizio di merito sulla valutazione delle prove del Giudice di prime cure che, pertanto, non può assumere il connotato di giudicato interno, stante la permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
Il ritardo diagnostico
Con separato censura sostengono, ancora, contraddittorietà laddove avrebbe condannato la struttura per le conseguenze del ritardo diagnostico, ritenuto alla stessa imputabile, ma al contempo avrebbe escluso l’esistenza del nesso di causalità tra condotta (omissiva) dei sanitari ed evento (malattia/morte). Sempre illogicamente avrebbe ritenuto che la perdita di chance di sopravvivenza dovesse stimarsi nella misura del 10% sulla base di una relazione stragiudiziale della struttura sanitaria, ma non avrebbe liquidato il danno catastrofale nemmeno in correlazione a tale minimale stima, confermando invece l’esigua liquidazione del primo grado.
Tutte le censure sono inammissibili (Cassazione civile, sez. III, 21/10/2024, n.27204) perché non è indicato dove il fatto, decisivo e controverso, che sarebbe stato omesso dal giudice sia rinvenibile negli atti e nello svolgimento delle argomentazioni delle parti. Per altro verso, non viene indicato il motivo per cui le argomentazioni poste a base della decisione della Corte territoriale vanno ben oltre il “minimo costituzionale” imposto dalla norma di riferimento, così come univocamente interpretata dalla giurisprudenza di legittimità (SU Cass. 8053/2014).
Anche con riguardo alla valutazione delle prove, le considerazioni dei ricorrenti tendono a indurre alla rivalutazione del compendio probatorio già analizzato dal Giudice dell’appello e a sindacare una motivazione intrinsecamente coerente e in linea con il materiale probatorio osservato.
La perdita di chance
La Corte d’Appello, ha confermato le conclusioni di primo grado riguardo la qualificazione della domanda come risarcimento da perdita di chance e non “da perdita della vita”, rigettando il secondo motivo di appello.
Sotto il profilo del danno iure hereditatis, la Corte d’Appello, nel confermare l’esito della decisione di primo grado, ha svolto differenti e ulteriori considerazioni sulla base dell’istruttoria probatoria.
Al riguardo ha precisato che “mentre il nominato CTU non è stato in grado di quantificare in termini percentuali la perdita di chance di sopravvivenza per la mancanza di uno studio di stadiazione del tumore (pur ribadendo in più punti sia il suo stadio avanzato al momento della sua escissione sia la sua particolare aggressività e il suo elevato indice di proliferazione), sulla base della relazione redatta dal prof. M.G., detta riduzione deve essere quantificata nella misura del 10%.
Perché bisogna tenere del fatto che all’inizio di agosto (e quindi a distanza di circa 60 giorni dal referto istologico del 8/6/2007) il paziente si era sottoposto ad una ecografia che aveva rivelato una metastasi nell’ascella sinistra e quindi era già nella condizione di poter effettuare ulteriori accertamenti diagnostici e iniziare un programma terapeutico, che invece ha per sua scelta deciso di ritardare fino al 15/10/2007 (il primo ciclo di chemioterapia è stato effettuato addirittura a novembre 2007).
Inoltre, non risulta acquisto alcun elemento neppure indiziario che consenta di affermare che in presenza di una diagnosi tempestiva la vittima avrebbe potuto conservare, pur in presenza del decorso della malattia, una migliore qualità della vita. Neppure può sostenersi che avrebbe avuto un’alta probabilità di sopravvivenza libera da recidive o metastasi, valorizzando la notazione contenuta nella relazione di CTU per cui “la maggior parte dei tumori a cellule squamose (95%) può essere curato se rimosso tempestivamente”.
Danno morale ed esistenziale
Lo stesso CTU ha sottolineato che il paziente nell’anamnesi preoperatoria aveva riferito di avere la lesione ulcerata al secondo dito della mano sinistra già da diversi mesi e che dalla descrizione risultante dalla cartella clinica il tumore appariva in uno stadio localmente avanzato. Quindi l’escissione del tumore primario non è avvenuta tempestivamente (perché il paziente si è rivolto in ritardo ai sanitari) e il tumore era particolarmente aggressivo, circostanze queste che portando ad escludere la prognosi particolarmente favorevole affermata dai familiari.
Correttamente, quindi, il primo Giudice ha liquidato il danno morale ed esistenziale senza tenere conto dell’evolversi della malattia, ma considerando solo la sofferenza psichica del de cuius per la consapevolezza di un ritardo (che si ribadisce può essere imputato alla Clinica solo nel limite di 60 giorni) nella diagnosi.
Quindi, la sentenza dei Giudici di secondo grado, basandosi su quanto accolto in primo grado, non è contraddittoria né ha travisato le prove. Non risulta contradittorio affermare che il ritardo nella diagnosi non ha determinato la morte, ma sofferenza psichica per la consapevolezza di un ritardo nella diagnosi, e un danno biologico temporale, risarcibile quale danno iure hereditatis, nonché un corrispondente danno parentale, risarcibile anche quale danno iure proprio.
Conclusivamente il ricorso viene dichiarato inammissibile con condanna dei ricorrenti alle spese.
Avv. Emanuela Foligno