Danni alla nascita e presunzione di perdita della capacità lavorativa

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La bambina, in occasione della sua nascita, aveva riportato un grave deficit di sviluppo dell’arto sinistro rispetto a quello controlaterale, con riduzione della forza prensile, nonché dall’anisometria miopica dell’occhio sinistro.

I genitori e poi la stessa danneggiata, nelle more divenuta maggiorenne, hanno chiesto e ottenuto la condanna dell’Azienda Sanitaria di Reggio Calabria al risarcimento dei danni subiti in occasione della sua nascita a causa della condotta ritenuta negligente tenuta dal personale durante il decorso del parto.

In primo grado, dopo tre CTU medico-legali, i giudici avevano accertato la responsabilità della struttura sanitaria e la sussistenza di un danno biologico permanente nella misura del 25% liquidandolo, previa personalizzazione, nell’importo di 220.311 euro.

I giudici, però, avevano rigettato la specifica domanda riguardante il danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa. Per quanto riguarda quest’ultimo profilo, la danneggiata aveva invocato la riforma della sentenza di primo grado argomentando che l’elevato grado di inabilità permanente e la natura della malformazione avrebbero dovuto indurre il Giudice del merito a presumere compromessa la capacità lavorativa e di guadagno basata sulle sue inclinazioni personali e a liquidare il relativo danno in via equitativa, tenendo conto del reddito fiscale annuale pari al triplo della pensione sociale.

Il danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa

I Giudici di secondo grado, nel respingere la domanda hanno considerato:

  • venendo in considerazione un “minore non percettore di reddito” con “contingente assenza di guadagni”, sussisteva “un’incertezza sulla qualificazione e quantificazione delle varie voci di danno non superabile se non con una prova particolarmente rigorosa”, caratterizzandosi il pregiudizio in questione come “danno da perdita di chance lavorativa”.
  • Pertanto, “la sola dimostrazione dell’esistenza di postumi invalidanti non era sufficiente a far presumere anche la perdita della possibilità di futuri guadagni o di futuri maggiori guadagni, spettando al danneggiato l’onere di provare, anche presuntivamente, che il danno alla salute gli aveva precluso l’accesso a situazioni di studio o di lavoro tali che, se realizzate, avrebbero fornito anche soltanto la possibilità di maggiori guadagni”.
  • Nella fattispecie, tale onere non era assolto, atteso che – al di là dei meri rilievi peritali in ordine alla circostanza che alla ragazza “piaceva studiare” e al fatto che i postumi permanenti da paralisi ostetrica avrebbero influito sia sugli atti della vita quotidiana sia sulle attività lavorative che avessero richiesto “l’impiego di forza fisica di entrambe le braccia”, non erano state allegate né le particolari inclinazioni o aspirazioni lavorative della danneggiata né le specifiche attività lavorative dei genitori che avrebbero potuto esserle trasmesse, né era stato dedotto e provato l’impedimento allo svolgimento regolare di uno specifico lavoro.

Il ricorso in Cassazione

La questione finisce in Cassazione che accoglie il ricorso (Cassazione civile, sez. III, 22/10/2024, n.27353).

La danneggiata lamenta che mancherebbe la motivazione del diniego della sussistenza della prova della perdita della capacità lavorativa specifica, pur in presenza di indici presuntivi (gravità 25% e natura altamente menomante della lesione) idonei a dimostrare in via presuntiva la sussistenza di tale voce di danno, e delle condizioni per la liquidazione in via equitativa (triplo della pensione sociale.

In sintesi, viene sostenuto che la Corte calabrese, nel ritenere che la sola dimostrazione dell’esistenza di postumi invalidanti non fosse sufficiente a far presumere anche la perdita della possibilità di futuri guadagni e nel richiedere, invece, la dimostrazione rigorosa della compromissione della capacità di lavoro, avrebbe violato il principio di diritto secondo cui tale compromissione è invece desumibile in via presuntiva dalla lesione dell’integrità psico-fisica e dal grado di inabilità permanente del danneggiato, quando esse siano di natura e gravità tali da rendere altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa ed il danno che necessariamente da essa consegue. La ricorrente reputa che, una volta accertata in via presuntiva l’esistenza del danno alla capacità lavorativa, l’impossibilità di provarne il preciso ammontare avrebbe dovuto essere superata dal Giudice del merito con il ricorso al criterio equitativo, facendo riferimento al parametro del triplo della pensione sociale.

Quanto lamentato è fondato. A fronte di un’accertata invalidità permanente nella misura del 25%, le considerazioni svolte nella sentenza impugnata, secondo cui “la sola dimostrazione dell’esistenza di postumi invalidanti non sarebbe stata sufficiente a far presumere anche la riduzione della capacità lavorativa (l’incertezza sulla quale non sarebbe stata superabile se non “con una prova particolarmente rigorosa”), esprimono una sostanziale obliterazione del forte rilievo indiziario che occorre invece attribuire, anche sul versante del danno reddituale, al primo dato.

L’accertamento presuntivo della perdita patrimoniale

Sul punto è da ritenersi consolidato il principio secondo cui “nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa ed il danno che necessariamente da essa consegue, il Giudice può procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi. La liquidazione di detto danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio“.

I Giudici di appello hanno errato escludendo in partenza il danno patrimoniale per il solo fatto della mancata prova di uno svolgimento dell’attività lavorativa, non avendo adeguatamente compiuto l’accertamento presuntivo in ordine alla riduzione della perdita di guadagno nella sua proiezione futura, imposto dall’entità dei postumi, anche in termini di perdita di chance.

In un altro caso assimilabile a quello esaminato, la Cassazione ha affermato che il danno da riduzione della capacità di guadagno subìto da un minore in età scolare, in conseguenza della lesione dell’integrità psico-fisica, può essere valutato attraverso il ricorso alla prova presuntiva allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro il danneggiato percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’evento lesivo, tenendo conto delle sue condizioni economico-sociali, di quelle della sua famiglia e di ogni altra circostanza del caso concreto (in tal senso Cass. 15/05/2018, n. 11750).

L’elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile la menomazione della capacità lavorativa

Questo significa che quando l’elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non certa, la menomazione della capacità lavorativa ed il danno ad essa conseguente, il Giudice può accertare in via presuntiva la perdita patrimoniale occorsa alla vittima e procedere alla sua valutazione in via equitativa.

Invece, la Corte di appello, nel pretendere la prova rigorosa della compromissione della capacità di guadagno da parte di una persona che non aveva ancora raggiunto l’età lavorativa, e nel togliere ogni rilievo all’avvenuto definitivo accertamento, a suo carico, di postumi invalidanti di grado pari al 25% a fronte di una malformazione che limitava l’uso degli arti superiori, da un lato ha gravato la danneggiata dell’onere di una dimostrazione eccessivamente difficoltosa. Dall’altro ha trascurato l’importante valore presuntivo del danno biologico, accertato in misura rilevante, rispetto al presumibile danno alla capacità lavorativa.

Il ricorso viene accolto e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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