La sentenza oggetto di questa mia breve disamina illustra i presupposti normativi ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 328 c.p., rubricato testualmente “Rifiuto di atti di ufficio. Omissione”, con specifico riguardo alla condotta assunta da un medico in servizio presso il pronto soccorso.
In particolare, nel caso di specie, il sanitario, all’esito della celebrazione del processo penale iscritto a suo carico, veniva ritenuto colpevole del reato contestatogli in rubrica e condannato con sentenza emessa dal Tribunale, confermata in toto dalla Corte di Appello e condivisa dagli Ermellini, i quali, infine, rigettavano il correlativo ricorso avanzato appunto dai difensori del medico.
Dunque, ad avviso di chi scrive, risulta opportuno illustrare al lettore il fatto storico, prima di addentrarci nel merito di quanto riportato dal Collegio di Legittimità, nella sentenza in esame.
Tizio, medico di turno in servizio presso il pronto soccorso, veniva denunciato e condannato per non aver visitato una anziana paziente, recatasi d’urgenza nel corso della notte presso il nosocomio, in ragioni di forti dolori al braccio.
In particolare, le risultanze probatorie hanno dimostrato che l’imputato, sebbene più volte sollecitato dagli infermieri, ometteva di visitare la donna, limitandosi a prescrivere un mero antidolorifico e rinviando, poi, gli accertamenti al mattino seguente, ad opera di altro suo collega, appunto del turno successivo.
Ebbene, il ricorrente difendeva il proprio operato tecnico affermando che il diniego di effettuare l’esame radiologico e di differirlo al mattino seguente, per impossibilità concreta, rientrava nell’alveo del legittimo esercizio della discrezionalità del medico e che, inoltre, la sua condotta non aveva aggravato le condizioni della anziana paziente.
Dunque, la Suprema Corte (Pen. n° 40753/17), riportandosi ad un orientamento pacificamente affermato e quindi consolidato, ha asserito che la condotta assunta nella complessiva vicenda dal sanitario integra senza alcuna ombra di dubbio il delitto di cui all’art. 328 c.p..
Infatti, gli Ermellini hanno dichiarato in sentenza che il medico avrebbe avuto l’obbligo di visitare la paziente in quanto si trattava di una persona di età avanzata, che lamentava un dolore al braccio di intensità pari a 9 su scala da 1 a 10.
Inoltre, la Suprema Corte ha affermato nella sentenza in esame che la condotta assunta dall’imputato violava anche i regolamenti interni ospedalieri.
Invero, la paziente veniva accolta in pronto soccorso con un codice di triage “verde”, che impone da regolamento la visita nell’arco temporale di 10-30 minuti, se non vi sono altri pazienti in codice rosso ovvero più gravi.
Dunque, il Collegio di Legittimità ha affermato che, nella vicenda de qua, a nulla rileva la circostanza che l’atto omissivo non avesse aggravato le condizioni patologiche della paziente, in quanto il delitto di cui all’art. 328 c.p. ha natura di reato di pericolo plurioffensivo, che lede sia l’interesse del privato, appunto danneggiato dalla omissione, sia l’interesse della Pubblica Amministrazione al buon andamento ed alla trasparenza del proprio operato tecnico.
In conclusione, la Suprema Corte si è uniformata alle sue precedenti pronunce, ritenendo che nel caso di specie l’omissione non rappresenti un legittimo esercizio della discrezionalità tecnica del medico, bensì una sottrazione alla valutazione di urgenza dell’atto di ufficio.

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

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