Operaio muore folgorato durante l’installazione della macchina del caffè

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La vittima, unitamente al suo titolare, si recava presso il ristorante di proprietà dell’imputato per installare la macchina del caffè.

L’installazione prevedeva il collegamento della macchina da caffè al quadro elettrico, posto sotto il bancone del bar, mediante il cavo fornito in dotazione alla macchina. Tuttavia, il cavo si rivelò troppo corto, per cui la vittima utilizzava una prolunga dal medesimo fabbricata.

Una volta inserita la spina della prolunga nella presa e messa in funzione la macchina, l’uomo veniva investito da una scarica elettrica che ne causava l’immediato decesso per folgorazione, mentre il figlio (e datore di lavoro), nel tentativo di sottrarlo dal contatto elettrico, riportava lesioni personali da cui derivava una menomazione dell’integrità psicofisica con postumi pari al 24%.

Dal resoconto del consulente tecnico del Pubblico Ministero era emerso che l’errato assemblaggio dei cavi della prolunga di fabbricazione artigianale aveva determinato il trasferimento di una fase attiva di alimentazione elettrica dentro la linea di protezione elettrica PE. Trasformando, quindi, l’involucro della macchina e della motopompa “potenziale del lato attivo” pari a 230 V, anziché in potenziale di terra, pari a 0 Volt, creando una trappola mortale per chiunque avesse toccato tale carcassa.

La vicenda giudiziaria

Inoltre, entrambi i Giudici del merito hanno ritenuto insussistente il nesso di causalità tra la condotta doverosa omessa (consistente nella predisposizione di controlli periodici volti ad accertare il regolare funzionamento dell’impianto elettrico, ivi compreso il cd. differenziale, che risultava manomesso da ignoti e quindi inefficace nell’intervenire come dispositivo di sicurezza contro il rischio di folgorazione) e la morte del lavoratore.

In particolare, sulla base delle consulenze tecniche espletate era rimasto accertato che, quand’anche il dispositivo del differenziale (denominato commercialmente salvavita) fosse stato funzionante, lo stesso avrebbe aperto il circuito ed interrotto il flusso di corrente solo dopo il passaggio di quest’ultima attraverso il corpo della persona offesa, seppure per un brevissimo lasso di tempo. Ciò avrebbe comportato comunque conseguenze sul piano fisico, sia di lieve entità che letali. Gli effetti potevano variare in funzione anche delle condizioni di salute della vittima, oltre che da una pluralità di fattori, quali il mancato prudenziale distacco della corrente prima dell’intervento, l’errato confezionamento della prolunga, la manomissione del differenziale, i componenti del bancone del bar non isolati.

Comunque Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza del GUP del Tribunale di Ivrea, resa a seguito di rito abbreviato, con la quale l’imputato era stato assolto perché il fatto non sussiste.

La Corte di appello, infatti, ha ritenuto comunque determinante il fatto che la scarica elettrica, entrata dalla mano sinistra della persona offesa, aveva raggiunto istantaneamente il muscolo cardiaco e lo aveva attraversato diagonalmente in modo fulmineo, scaricandosi poi a terra dal piede destro.

I ricorsi in Cassazione

Avverso tale sentenza, ricorre il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Torino sostenendo che i Giudici non avrebbero considerato tutte le variabili rilevanti (età del soggetto, stato di salute, tempo di permanenza della corrente, punto di ingresso e di uscita del flusso di corrente), limitandosi a valorizzare il percorso di attraversamento del corpo, che non è nemmeno il più pericoloso secondo la letteratura scientifica.

Riprendendo quanto affermato dal consulente del PM deduce, inoltre, che il corretto funzionamento del salvavita avrebbe ridotto ad appena 4 decimi di secondo l’esposizione alla corrente della vittima, in luogo di 4 secondi, per un tempo quindi insufficiente ad innescare la fibrillazione ventricolare, che causò la morte. La morte era dunque evitabile e la condotta omessa era in concreto esigibile, perché imposta dalla legge.

Anche l’imputato censura la decisione di secondo grado deducendo che la Corte territoriale avrebbe rovesciato questo giudizio, ignorando la condotta successiva al reato dell’imputato e valorizzando il grado della colpa, la gravità delle lesioni, la durata della violazione, l’assenza di documentazione attestante la regolarità dell’impianto elettrico.

La Cassazione rigetta tutte le censure (Corte di Cassazione, IV penale, sentenza 8 ottobre 2024, n. 37114).

Il reato omissivo improprio

In materia di reato omissivo improprio, ancor prima di applicare il c.d. giudizio controfattuale, è necessario individuare con precisione quanto effettivamente è naturalisticamente accaduto, al fine di verificare se la identificazione di una condotta omessa possa valutarsi come adeguatamente e causalmente decisiva in relazione alla evitabilità dell’evento, ovvero alla sua verificazione in epoca significativamente posteriore.

I Giudici di merito hanno correttamente seguito le regole di giudizio sopra esposte. La Corte territoriale, confermando il giudizio sul punto del GUP, ha descritto il succedersi degli eventi, sottolineando che, come affermato dal perito d’ufficio del GUP, in accordo con il CTP della difesa e con quello del PM, il passaggio della corrente all’interno del corpo della vittima era avvenuto attraverso un contatto diretto mano-piede, considerato tra i più pericolosi, avendo la corrente attraversato in tempi rapidissimi il corpo della vittima in diagonale, coinvolgendo inequivocabilmente il cuore e provocando piccolissime scariche elettriche che, normalmente, incidono sul movimento atriale e ventricolare determinando l’arresto ventricolare.

Il perito ha specificato che in una persona sana, di giovane età ed in assenza di problemi cardiaci, le probabilità di resistere alla scarica evitando l’evento letale sarebbero state più alte. Nel caso in esame, tuttavia, tali dati erano mancanti, tenuto anche conto della non più giovane età della vittima (nato nel 1953), richiamando comunque l’attenzione sulla considerazione, oggettiva, secondo cui il breve intervallo di tempo di attivazione dell’interruttore differenziale avrebbe contenuto le lesioni riconducibili alla tetanizzazione ed all’asfissia (oltre alle ustioni), ma il percorso della corrente dalla mano al piede, colpendo certamente il cuore, aveva causato una fibrillazione ventricolare irreversibile.

La spiegazione causale fornita dai consulenti

I Giudici di appello hanno recepito la spiegazione causale fornita dai consulenti, i quali hanno concordato nel ritenere che anche in presenza di interruttore differenziale, atteso che lo stesso non avrebbe potuto aprire il circuito elettrico innescato prima di 4 decimi di secondo, l’evento morte si sarebbe verificato inevitabilmente per la natura irreversibile della fibrillazione ventricolare prodottasi.

Ergo, il giudizio esplicativo, al contrario di quanto denunciato in ricorso, non è carente. Esso spiega, con il conforto del parere dei consulenti, che il tempo di esposizione alla scarica elettrica trascorso prima del decesso della vittima è valutabile in termini di immediatezza, e quindi senz’altro inferiore ai quattro decimi di secondo, che è il tempo minimo ritenuto necessario per l’interruzione della corrente da parte del differenziale, se funzionante.

Da qui, la coerenza logica della regola di giudizio applicata, secondo cui l’eventuale funzionamento del differenziale non avrebbe evitato l’evento del passaggio della corrente, con le conseguenze letali che l’hanno invece caratterizzata nel caso di specie.

La sentenza impugnata, in sintesi, ha ritenuto sussistente un rilevante grado di colpa in capo all’imputato, il quale aveva totalmente omesso le prescritte verifiche periodiche all’impianto elettrico, dalle quali sarebbe rimasta accertata la manomissione del differenziale; inoltre, ha ritenuto significativa l’entità delle lesioni personali subite dalla vittima (pari al 24% di inabilità permanente).

Inoltre, la sentenza chiarisce, in linea con quanto aveva già affermato il primo Giudice, che, rispetto alle lesioni subite dall’operaio deceduto, l’intervento del cd. “salvavita” sarebbe riuscito ad evitare l’evento, essendo la dinamica che ha portato alla folgorazione del medesimo spostata in avanti nel tempo, per un periodo di tempo superiore a quello richiesto per l’intervento dell’interruttore differenziale.

In conclusione il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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