Operaio schiacciato dal cancello dell’autoparco, chi è responsabile?

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Il Giudice di appello può confermare la decisione di primo grado anche sulla base di argomentazioni differenti. La sentenza della Corte di Cassazione, IV penale, sentenza 23 gennaio 2025, n. 2765 è a proposito del caso di un infortunio sul lavoro nei confronti delloperaio schiacciato dal cancello dell’autoparco.

La Corte di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa il 27/07/2018 dal Tribunale di Castrovillari nei confronti del capo dell’Ufficio Tecnico del Comune e del responsabile dell’autoparco con la quale erano stati assolti dal reato previsto dagli artt. 113, 590 cp.

Era stato contestato agli imputati di avere cooperato nel cagionare un infortunio sul lavoro nei confronti delloperaio schiacciato dal cancello dell’autoparco medesimo, fuoriuscito dai binari di guida e rovinatogli addosso, causandogli lesioni gravi.

Il Giudice di primo grado ha escluso la responsabilità degli imputati, ritenendo che le relative condotte omissive non potessero essere loro attribuite. In particolare, in ordine alla posizione del capo dell’Ufficio tecnico del Comune di Rossano, ha ritenuto che lo stesso non potesse essere qualificato come “datore di lavoro”, spettando tale qualifica al vertice della singola amministrazione e quindi al Sindaco, non essendovi stata alcuna delega di funzioni al momento del fatto; in ordine alla posizione del responsabile dell’autoparco, ha rilevato che – agli atti – esisteva unicamente un decreto che genericamente ne disponeva, sin dal 2004, l’utilizzo temporaneo e in forma saltuaria quale istruttore di vigilanza presso l’unità operativa dell’autoparco.

La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che le condotte omissive contestate risultassero smentite, avendo gli imputati approntato misure informative idonee in ordine alla sicurezza nel luogo di lavoro.

Cassazione accoglie il ricorso

Le parti civili propongono ricorso per Cassazione, che accoglie.

Deducono innanzitutto che non risultano comunicate alla difesa delle parti civili le conclusioni scritte espresse dal Procuratore Generale, con conseguente violazione del diritto al contraddittorio. Deducono, inoltre, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza per violazione o superamento del principio devolutivo, in uno all’errata e illogica rivalutazione degli elementi probatori, in contrasto con l’irretrattabilità dei punti di pronuncia afferenti alla sussistenza delle condotte omissive contestate.

Secondo la tesi delle parti civili, la Corte avrebbe indebitamente esteso la propria cognizione a un punto, ovvero quello relativo al nesso di causalità tra la condotta omissiva – oggettivamente accertata – e l’infortunio. Ovverosia: nel riconoscere la posizione di garanzia degli imputati, oggetto dell’appello proposto dalle parti civili aveva però giustificato il giudizio di assoluzione proprio sulla base della ritenuta insussistenza delle condotte omissive suddette, spingendo quindi la propria cognizione su un punto della decisione non oggetto di censura e non vertendosi in aspetto esaminabile d’ufficio.

Le censure vengono considerate fondate. La giurisprudenza è costante nel ritenere che i “capi” della sentenza vadano identificati con le specifiche imputazioni, suscettibili di moltiplicarsi nei processi soggettivamente e/o oggettivamente cumulativi, mentre i “punti” della decisione si identificano in ogni statuizione della sentenza che può essere considerata in modo autonomo, con la specificazione che non rientrano nella sfera della devoluzione e dei conseguenti effetti preclusivi le argomentazioni esposte in motivazione, perché queste riguardano il momento logico e non già quello decisionale del procedimento.”

Il Giudice di appello può pervenire allo stesso risultato cui è pervenuto il primo Giudice anche sulla base di considerazioni e argomenti diversi

Ne deriva il principio in base al quale, ai fini dell’individuazione dell’ambito di cognizione attribuito al Giudice di secondo grado dall’art. 597, comma primo, cpp, in ordine alla parte della sentenza suscettibile di autonoma valutazione che riguarda una specifica questione decisa in primo grado, il Giudice dell’impugnazione può pervenire allo stesso risultato cui è pervenuto il primo Giudice anche sulla base di considerazioni e argomenti diversi da quelli considerati dal primo, o alla luce di dati di fatto non valutati in primo grado, senza, con ciò, violare il principio dell’effetto parzialmente devolutivo dell’impugnazione.

Ergo, il Giudice di secondo grado può giustificare la conferma della decisione di primo grado anche sulla base di argomentazioni diverse rispetto a quelle spese nella sentenza impugnata, ma che può giungere a tale risultato solo qualora il correlativo punto della sentenza sia stato devoluto alla propria cognizione mediante l’atto di appello.

Calando tali principi al caso concreto, il Giudice di primo grado aveva univocamente ritenute perfezionate, sul piano oggettivo, le violazioni delle disposizioni indicate in sede di capo di imputazione, con specifico e chiaro riferimento alla mancata elaborazione del DUVRI e al conseguente perfezionamento delle contestate condotte omissive. Ritenendo peraltro che gli imputati dovessero essere mandati assolti per difetto di titolarità soggettiva dei relativi obblighi.

L’apparato motivazionale della sentenza impugnata viene ritenuto lesivo del principio devolutivo dettato dall’art. 597, comma primo, cpp.

Il successivo appello delle parti civili ha quindi contestato la decisione di primo grado deducendo come il capo dell’Ufficio Tecnico, a seguito dell’ampia delega conferitagli dal Sindaco, fosse identificabile qual datore di lavoro. Quanto alla posizione del responsabile dell’autoparco, ne aveva evidenziato la qualificazione nell’ambito del genus del preposto, in quanto individuabile in tale senso sulla base delle mansioni effettivamente svolte, anche alla luce delle pertinenti disposizioni di servizio.

Ne consegue che il punto della decisione devoluto alla cognizione della Corte d’appello atteneva, sulla base dei motivi di impugnazione, alla sola ravvisabilità delle qualifiche soggettive necessarie per l’imputazione dei fatti omissivi, la cui materialità era stata accertata da parte del Giudice di primo grado.

A fronte della reale portata del thema decidendum, la Corte territoriale è giunta a una statuizione di conferma della decisione di primo grado, ma sulla base di un percorso motivazionale distonico rispetto alla effettiva portata della propria cognizione.

Ne consegue che, pur tenendo conto dell’autonomia del Giudice di primo grado, in ordine all’eventuale conferma della statuizione di primo grado anche sulla base di argomentazioni diverse, l’apparato motivazionale della sentenza impugnata viene ritenuto lesivo del principio devolutivo dettato dall’art. 597, comma primo, cpp.

Per tali ragioni la sentenza viene impugnata con rinvio al Giudice competente.

Avv. Emanuela Foligno

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