L’ ordine di demolizione ha natura di sanzione amministrativa con finalità ripristinatorie e pertanto non è soggetto al regime della prescrizione

Il giudice dell’esecuzione presso il Tribunale di Agrigento, in accoglimento della richiesta del Pubblico Ministero, aveva revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena applicato in favore del ricorrente, sul rilievo della mancata ottemperanza dell’ ordine di demolizione di un manufatto abusivo, cui il medesimo beneficio era stato subordinato.

La questione giunse ben presto dinanzi ai giudici della Corte di Cassazione (sent. n. 55372/2018).

Il fatto e i motivi di ricorso

A detta della difesa, la mancata esecuzione dell’ordine di demolizione, a fronte di una condanna per abuso edilizio commesso in parziale difformità, non era in alcun modo imputabile al ricorrente: questi non avrebbe potuto ottemperare a quell’ordine, senza arrecare pregiudizio, mediante la stessa attività, alla parte legittimamente eseguita.

Si trattava, infatti, di un “innalzamento e realizzazione della copertura del preesistente immobile legittimamente realizzato”, all’incirca negli anni 60.

Ma non è tutto. Il ricorrente lamentava, altresì, la violazione della legge in punto di applicazione del regime della prescrizione della pena (ai sensi dell’art. 173 c.p.p.), a fronte dell’intervenuto decorso di oltre cinque anni dall’adozione della sentenza del giudice di primo grado e di oltre sette anni dalla data di commissione del fatto.

Interessante la soluzione della Cassazione sotto quest’ultimo aspetto.

La parziale e totale difformità dell’immobile abusivo

Prima di pronunciarsi sulla vicenda in esame, vengono fornite due importanti definizioni giuridiche. Si tratta delle nozioni di” totale e parziale difformità di un immobile abusivo”, due concetti tra loro antitetici – afferma la Corte.

La parziale difformità implica la sussistenza di un titolo abilitativo descrittivo di uno specifico intervento costruttivo, cui deve pervenirsi all’esito della fase realizzativa seppure secondo caratteristiche in parte diverse da quelle fissate a livello progettuale. Il concetto di totale difformità presuppone, invece, un intervento costruttivo che, riguardato necessariamente nel suo complesso, sia qualificabile, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, come “(….) un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso (…)”.

L’art. 31, comma 1, TUE – aggiunge – richiama un concetto di “totale difformità” ancorato, “più che al confronto tra la singola difformità e le previsioni progettuali dell’intervento edilizio, alla comparazione sintetica tra l’organismo programmato nel progetto e quello che è stato realizzato con l’intervento edilizio scaturito dall’attività costruttiva; con la conseguenza che, mentre il metodo valutativo utilizzabile per definire il concetto di parziale difformità ha carattere analitico, quello destinato ad accertare la totale difformità si fonda su una valutazione di sintesi collegata alla rispondenza o meno del risultato complessivo dell’attività edilizia rispetto a quanto è stato rappresentato nelle previsioni progettuali, le uniche prese in considerazione in fase di assenso amministrativo” (cfr. Sez. 3, n. 40541/2014; Sez. 3, n. 11956/2010).

I giudici della Cassazione, non a caso, hanno inteso ribadire la diversità delle due nozioni, proprio al fine di giustificare le altrettanto, differenti scelte operate dal legislatore mediante la previsione incondizionata della demolizione, in caso di interventi realizzati “in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo ovvero con variazioni essenziali” (art. 31 comma 2 DPR 380/01); piuttosto che mediante la previsione di un ordine di demolizione destinato a non trovare esecuzione per abusi realizzati in parziale difformità, “quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità (…)” (cfr. art. 34 comma 2 DPR 380/01).

La prescrizione dell’ordine di demolizione

Con riguardo alla tema della prescrizione occorre, invece, fare un passo indietro.

È opportuno innanzitutto chiarire che “l’intervento del giudice penale – in materia –  si colloca a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino dell’originario assetto del territorio, alterato dall’intervento edilizio abusivo. Ne deriva che il provvedimento conclusivo di siffatto procedimento, ancorché proveniente dal giudice penale, ha natura di atto amministrativo; sicché la sanzione in essa contenuta sarà anch’essa amministrativa.

La ratio è di tipo ripristinatoria del bene giuridico leso; perciò non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso.

Se ciò è vero, l’ordine di demolizione dell’immobile abusivo impartito dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9 D.P.R. 380/01, non rientra nell’ambito di operatività dell’art. 173 c.p., né è soggetta alla prescrizione stabilita dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981 che attiene alle sole sanzioni pecuniarie con finalità punitiva.

 

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