La Corte d’Appello di Roma ha fornito chiarimenti sul reato di stalking nell’ipotesi in cui un padre che insiste per vedere la propria figlia perseguiti la propria ex a tal fine.

Cosa accade se un padre vuole vedere la figlia, affidata alla propria ex moglie, e per farlo insiste mettendo in atto condotte moleste?

Può, un tale comportamento, integrare il reato di stalking?

A questa domanda hanno risposto di giudici della Corte d’Appello di Roma fornendo, con la sentenza numero 537/2018, delle precisazioni fondamentali.

Secondo i giudici, infatti, il reato di stalking richiede la volontà di porre in essere condotte minacciose e moleste. Queste devono però essere portate avanti con la consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi di cui all’art. 612-bis c.p.

Pertanto, se il padre vuole vedere la figlia e per questo “perseguita” la propria ex, non può essere condannato per il reato di atti persecutori.

Nella sentenza in oggetto, la Corte d’appello di Roma ha infatti specificato che l’elemento soggettivo richiesto per lo stalking, secondo un costante principio di diritto, è il dolo generico.

Cosa significa? Si tratta della volontà di porre in essere condotte minacciose e moleste con la consapevolezza che le stesse saranno idonee a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dall’articolo 612-bis del codice penale.

In buona sostanza, affinché il reato si dica configurato, il dolo deve essere unitario.

Quindi, anche se può realizzarsi in maniera graduale, deve comunque esprimere un’intenzione criminosa. Questa deve andare oltre i singoli atti dei quali si compone la condotta tipica.

Nel caso di specie, il padre non aveva fatto altro che porre in essere, pur “con modalità personalizzate e ridondanti”, comportamenti legati al suo desiderio di esercitare un diritto. Quello di vedere la propria figlia minorenne.

Di fatto, quindi, mancava del tutto un effettivo intento persecutorio in danno della ex compagna.

In assenza di elementi di prova idonei a far ritenere che la condotta dell’uomo fosse diretta volutamente a creare intorno alla ex un clima di paura per la propria incolumità personale o a costringerla a modificare le proprie abitudini di vita, per la Corte d’appello non può dirsi dimostrato l’elemento psicologico del reato.

Ne consegue, pertanto, l’assoluzione del padre per insussistenza del fatto.

 

 

 

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