Accolto il ricorso di un uomo che si era fratturato tibia e perone per una caduta dovuta al pavimento bagnato nell’androne di uno stabile

Nel 2006 aveva convenuto in giudizio l’impresa di pulizie di uno stabile e il Condominio, in persona del suo amministratore pro-tempore, per ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti, alternativamente o in solido tra di loro, a causa di una caduta che gli era costata la frattura di tibia e perone. Nello specifico l’uomo sosteneva di essere scivolato nell’androne dello stabile a causa del pavimento bagnato che era stato appena lavato dalla ditta a ciò preposta.

In primo grado il Tribunale aveva accolto la domanda del l’attore condannando i convenuti ex art. 2051 del codice civile, per responsabilità da cosa in custodia, a versargli in solido circa 16 mila euro, oltre accessori.

La sentenza era stata tuttavia riformata in appello.

La Corte territoriale, infatti, pur confermando la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di prime cure, giungeva ad una diversa decisione, applicando diversi principi giurisprudenziali, di valorizzazione dei concetti di pericolosità intrinseca della res, di prevedibilità dell’evento dannoso e di dovere di cautela da parte del soggetto che entra in contatto con la cosa. Nello specifico il Giudice di secondo grado riteneva che fosse “onere del danneggiato dare la prova specifica del nesso causale tra danno ed evento implicante la prova della sussistenza di una pericolosità intrinseca dei luoghi tale da rendere inevitabile l’evento, che nel caso di specie, alla luce degli elementi probatori evidenziati, era mancata”.

Nel ricorrere per cassazione, l’uomo eccepiva, tra gli altri motivi che la Corte non avrebbe esaminato la circostanza del pavimento bagnato- non segnalato, decisiva ai fini del giudizio in quanto in connessione eziologica rispetto all’evento. Inoltre, l’omesso riconoscimento del nesso causale tra la caduta, il danno e la responsabilità del custode, avrebbe trovato il suo presupposto in una prova ignorata dalla Corte, e cioè, che l’uomo non era condomino dello stabile e, quindi, non poteva conoscere né lo stato dei luoghi né che vi fosse un’impresa che effettuasse le pulizie né tantomeno gli orari e i giorni in cui tali pulizie venissero effettuate. Pertanto non avrebbe potuto essere applicato il criterio della prevedibilità dell’evento.

E ancora, a detta del ricorrente, il giudice di appello non avrebbe applicato correttamente i principi della costante giurisprudenza in tema di responsabilità da cose in custodia. In particolare, avrebbe errato nel far ricadere l’onere della “intrinseca pericolosità dei luoghi tale da rendere inevitabile l’evento” sul danneggiato/attore anziché sul convenuto. Quest’ultimo avrebbe dovuto dare prova del verificarsi di un evento estraneo (consistente nel comportamento del danneggiato) da ritenersi idoneo a configurare il caso fortuito e, quindi, interrompere il nesso eziologico. I giudici, quindi, avrebbero errato nell’invertire l’onus probandi, pretendendo, ai fini della dimostrazione del nesso causale, anche la prova della inevitabilità dell’evento.

La Suprema Corte, tuttavia, con la sentenza n. 4129/2020 ha ritenuto di accogliere le doglianze del ricorrente in quanto manifestamente fondate.

Secondo gli Ermellini il giudice del merito aveva errato perché nel caso in esame aveva ritenuto la sussistenza di un comportamento colposo della vittima che, pur potendo verificare in condizioni di normale visibilità che il pavimento appariva in condizioni di percepibile scivolosità, non aveva prestato la normale diligenza e la dovuta attenzione alla situazione dei luoghi.

Orbene – specificano dal Palazzaccio – è vero che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, quanto più la situazione di pericolo è prevedibile, tanto più il danneggiato ha l’obbligo dell’adozione di cautele, ma nel caso di specie, proprio perché non vi era presenza abbondante di acqua, come accertato dal giudice, ma vi era l’umidità successiva al lavaggio, la situazione di pericolo era meno prevedibile, sicché l’efficienza causale del comportamento del danneggiato acquistava minore rilievo.

Da li la decisione di cassare la sentenza con rinvio della causa alla Corte di appello, in diversa composizione, per un nuovo esame della vicenda.

La redazione giuridica

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