Paziente caduta in ospedale, sottovalutato il colpo alla testa

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La paziente, durante il ricovero, subisce una caduta in ospedale ma viene sottovalutato il colpo alla testa che in realtà era un grave trauma cranico.

Il caso

La paziente, ricoverata dal 22 dicembre con diagnosi di “fibrillazione atriale parossistica e dispnea”, il 1° gennaio 2007 cade. Dalla caduta in ospedale sarebbe derivato un grave trauma cranico, che era stato trattato in modo del tutto inadeguato, esclusivamente con borsa del ghiaccio.

I passaggi clinici

La donna veniva dimessa dall’ospedale in data 3/1/2007, con diagnosi di “scompenso cardiaco in paziente con fibrillazione atriale stabilizzata-pregresso episodio di embolia polmonare-cardiopatia ipertensiva, lieve versamento pleurico-ipotiroidismo in tiroidite cronica di Hashimoto”. All’atto della dimissione le era stata prescritta la seguente terapia farmacologica: Lanoxin, Lasix, Clexane4000, Eutirox e le erano stati raccomandati successivi controlli, senza alcuna prescrizione per l’ematoma presente nella regione frontale destra.

Rientrata a casa, la donna accusava subito un forte dolore, tanto che verso le ore 19 del medesimo giorno veniva riportata in ambulanza all’ospedale lamentando “Cefalea violenta e successivo stato soporoso” per cui viene riaccompagnata presso il P.S. e ricoverata nel reparto di medicina. La TC cranio mette in evidenza un voluminoso ematoma subdurale iperdenso. Arrivata in reparto la donna si presentava già in stato di coma.

Subiva intervento chirurgico e in data 6 gennaio 2007 era stata riconosciuta “sveglia, lucida, senza deficit focali neurologici”. Tuttavia l’8 gennaio 2007 i sanitari avevano evidenziato un deficit motorio sull’arto inferiore sx e disposto una consulenza fisiatrica che, eseguita il 9 gennaio, aveva evidenziato “impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore … non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita senza un’assistenza continua”.

Il 10 gennaio 2007 la signora era stata dimessa. Tuttavia, nonostante l’intensità della terapia riabilitativa, in conseguenza del trauma cranico il quadro clinico e le condizioni subivano un costante peggioramento.

In data 23/11/2010 la donna era deceduta senza aver mai presentato alcun miglioramento delle gravi condizioni conseguenti al trauma cranico.

Il giudizio di primo grado

Il Tribunale di Lanusei viene chiamato a decidere sulla asserita omessa diagnosi o errata terapia. Il Giudice, ritenuto dimostrato che la caduta fosse avvenuta nel periodo di degenza ospedaliera, accerta e dichiara la responsabilità della convenuta nella causazione del danno non patrimoniale subito e del decesso che ne era conseguito, e condanna al pagamento dell’importo complessivo di euro 340.528,027, in favore di ciascuno degli attori, nonché alla rifusione delle spese di lite.

In punto motivazionale, il Tribunale, essendo contestata la caduta in ospedale, dà atto che gli attori avevano dimostrato la circostanza attraverso le prove testimoniali e la perizia. Dalla perizia emergeva che la donna presentava un ematoma così coagulato da non poter esserselo procurato poco prima, una volta dimessa dall’ospedale, occorrendo un tempo superiore a 24 h. per la formazione di un coagulo di tale importanza. Inoltre, i testi avevano offerto concordanti riscontri: il primo precisando di essere stato ricoverato nella camera di fronte e di avere sentito forti rumori nella notte, apprendendo il giorno successivo che l’anziana paziente era caduta; la seconda riferendo di avere visto, l’indomani, la donna con il bernoccolo e di avere appreso, dalla vicina di letto, che l’anziana era caduta andando in bagno ed era stata trattata solo con il ghiaccio.

Ebbene, un tempestivo studio del cranio avrebbe permesso un pronto trattamento chirurgico evitando all’ematoma di raggiungere quelle dimensioni portando alla compressione delle cavità ventricolari con il danno neurologico a ciò conseguito.

L’Appello

La Corte di appello dispone una integrazione alla CTU.

Con riguardo alla causa dell’ematoma, i Consulenti hanno potuto escludere, con elevata probabilità che, per le considerazioni esposte nella relazione in ordine alla natura e genesi dell’ematoma sottodurale, il trauma fosse avvenuto dopo la prima dimissione dall’Ospedale, ovvero nell’arco di poche ore prima della comparsa della importante sintomatologia descritta. Inoltre, alla descrizione dell’intervento chirurgico (4/01/2007) il sangue si presentava in parte coagulato, il che fa supporre che la rottura del vaso si fosse già verificata in un tempo ben superiore a poche ore. Tale considerazione risulterebbe corretta “… anche tenuto conto della terapia farmacologica prescritta al momento della dimissione che lascerebbe presupporre che la donna fosse sotto anticoagulanti. … Ad ogni modo, è possibile ritenere ugualmente improbabile che la rottura del vaso fosse legata ad un trauma antecedente il primo ricovero presso l’Ospedale in questo caso il sanguinamento sarebbe iniziato prima del 22/12/2006 e si sarebbe protratto fino al 3/01/2007.
Questa eventualità non può essere esclusa completamente (dato che l’intervallo libero può essere anche di alcune settimane), ma l’aspetto TC dell’ematoma e la descrizione dell’intervento riportata dai neurochirurghi mal si conciliano con questa ipotesi. Inoltre, se l’accrescimento dell’ematoma fosse stato così lento, alcuni segni neurologici sarebbero già comparsi, ancorché sfumati, durante il primo ricovero e non sarebbero sfuggiti ai sanitari in occasione della dimissione. Possiamo quindi considerare come ipotesi maggiormente probabile ed attendibile che l’evento traumatico sia occorso nel periodo di degenza del primo ricovero presso l’Ospedale è altresì verosimile che si sia verificato in epoca compatibile con quanto riferito dai famigliari tenuto anche che il trauma, causativo del suddetto quadro patologico, non deve necessariamente avere caratteristiche di violenza e gravità, trattandosi pertanto di un trauma cranico minore, non richiedente trattamenti terapeutici invasivi”.

La decisione dei giudici di Appello

In definitiva, la paziente, di età superiore ai 65 anni, caduta in ospedale da una altezza superiore al metro, in trattamento con anticoagulanti (anche se in modo discontinuo), avrebbero dovuto essere sottoposta ad un attento monitoraggio con l’esecuzione di alcuni accertamenti precauzionali, in primis una TCcranio.

Ciò posto, la Corte di appello esclude che il decesso sia causalmente riconducibile, anche solo in minima percentuale, all’intervento tardivo del 2007: difatti, anche a volere ipotizzare che la caduta del 2010 fosse riconducibile all’instabilità staticodinamica, a una distrazione, o una cattiva gestione di tale insufficienza, escluderebbe comunque il nesso rispetto all’antecedente remoto rappresentato dal tardivo trattamento dell’ematoma nel 2007, da cui tale insufficienza era derivata.

Conseguentemente, viene respinto il risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale, non essendovi evidenza che il decesso possa essere ricondotto causalmente in tutto o in parte al tardivo intervento di rimozione dell’ematoma risalente all’anno 2007 (Corte d’Appello Cagliari – sentenza 7 marzo 2024, n. 85).

Avv. Emanuela Foligno

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