Costituisce violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità la durata decennale delle pene accessorie per i reati di bancarotta

Bancarotta fraudolenta: le pene accessorie vanno determinate caso per caso. La determinazione della durata delle pene accessorie previste per i reati di bancarotta fraudolenta e disciplinate dall’art. 216 l. fall. devono essere determinate con valutazione concreta e caso per caso a prescindere alla durata della pena detentiva; durata che potrebbe risultare, in concreto, maggiore di quest’ultima, purché entro il limite massimo di dieci anni.

Al contrario deve considerarsi costituzionalmente illegittima per violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza la previsione di una misura fissa della inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e della incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, determinata in dieci anni.

Ad affermalo è stata la Corte costituzionale (sent. n. 222/2018), all’esito del procedimento di legittimità sollevato dalla Corte di Cassazione, prima sezione penale, in relazione agli artt. 216, ultimo comma, e 223, ultimo comma, legge fallimentare, in riferimento a sua volta, agli artt. 3, 4, 41, 27 e 117, primo comma, della Costituzione e, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

Il ricorso di legittimità costituzionale

Le questioni sono state sollevate nell’ambito del giudizio di cassazione avente ad oggetto la sentenza con la quale la Corte d’appello di Bologna, in sede di rinvio dopo un precedente annullamento da parte della quinta sezione penale della Corte di cassazione, aveva confermato la condanna di numerosi imputati per una pluralità di delitti di bancarotta impropria fraudolenta e semplice, variamente connessi alla vicenda del crac Parmalat, reiterando, per questi ultimi, la condanna alle menzionate pene accessorie per la durata legale di dieci anni già disposta nei precedenti gradi di giudizio.

Oggetto del vaglio di costituzionalità tre punti: a) l’automatismo nell’applicazione della pena accessoria, che segue necessariamente a qualunque condanna per fatti di bancarotta fraudolenta, indipendentemente dalla concreta gravità delle condotte ascritte all’imputato; b) la grave compressione del diritto costituzionale del diritto di iniziativa economica esercitabile anche attraverso l’attività di impresa (art. 41 cost) determinato dall’eccessiva durata della pene accessorie in questione; c) la fissità della loro durata (pari a dieci anni) indipendentemente dall’entità della pena principale ritenuta congrua nel caso concreto.

Ebbene, i Giudici delle Leggi concordano nel ritenere che le pene accessorie previste per il reato di bancarotta incidano in senso fortemente limitativo su una vasta gamma di diritti fondamentali del condannato, riducendo drasticamente la sua possibilità di esercitare attività lavorative per un arco temporale di dieci anni, peraltro, destinati a decorrere (in forza dell’art. 139 cod. pen.) dopo l’integrale esecuzione della pena detentiva (la quale, a sua volta, potrebbe avere luogo molti anni dopo la commissione del fatto di reato).

La norma sarebbe anche contraria ai principi di proporzionalità e ragionevolezza.

Innanzitutto perché l’art. 216 della legge fallimentare raggruppa una pluralità di fattispecie che, già a livello astratto, sono connotate da un ben diverso disvalore, come dimostrano le diverse risposte sanzionatorie previste dal legislatore: reclusione da tre a dieci anni per i fatti previsti dal primo e secondo comma; reclusione da uno a cinque anni per gli assai meno gravi fatti (di bancarotta cosiddetta preferenziale) previsti dal terzo comma.

Ma non è tutto. All’interno delle singole fattispecie delittuose previste in astratto da ciascun comma dell’art. 216 e dell’art. 223, secondo comma, la gravità dei fatti concreti ad esse riconducibili può essere marcatamente differente.

Come si spiega allora la rigidità della durata decennale?

Ad essere violati sarebbero anche gli artt. 3 e 27 Cost., oltre che al principio dell’individualizzazione del trattamento sanzionatorio al caso concreto, posto che siffatte pena accessorie verrebbero applicata indistintamente anche a fatti di bancarotta fraudolenta meno gravi.

La soluzione della Corte Costituzionale

La Corte di Cassazione, nell’ordinanza di rimessione della questione di legittimità aveva proposto un rimedio: commisurare la durata delle pene accessorie a quella della pena detentiva concretamente inflitta; durata che – a sua volta – dipende da tutti i fattori menzionati nell’art. 133 cod. pen. il che assicurerebbe, sia pure in via mediata e indiretta, un certo grado di rispetto del principio di individualizzazione alle pene accessorie.

Sebbene, astrattamente favorevole ad una simile soluzione, la Corte costituzionale ha preferito prendere una strada diversa. Una simile soluzione finirebbe infatti per privare di significato la ratio special-preventiva delle pene accessorie, rispetto alla natura rieducativa della sanzione detentiva.

Ma non va molto lontano i Giudici delle leggi, che nel risolvere la questione ricorrono ali articoli immediatamente successivi alle norme censurate. Si tratta degli artt. 217 e 218 della stessa legge fallimentare che prevedono le medesime pene accessorie indicate nell’ultimo comma dell’art. 216, ma dispongono al tempo stesso che la loro durata sia stabilita discrezionalmente dal giudice «fino a» un massimo determinato dalla legge (due anni nel caso della bancarotta semplice, tre anni nel caso del ricorso abusivo al credito).

Questa logica, già presente e operante nel sistema, può agevolmente essere trasposta all’interno dell’art. 216 della legge fallimentare, attraverso la sostituzione dell’attuale previsione della durata fissa di dieci anni delle pene accessorie in esame con la previsione, modellata su quella già prevista per gli artt. 217 e 218 della medesima legge, della loro durata «fino a dieci anni».

Tale soluzione aggiunge – ovviamente soggetta a eventuali rivalutazioni da parte del legislatore, sempre nel rispetto del principio di proporzionalità – consentirà al giudice di determinare, con valutazione caso per caso e disgiunta da quella che presiede alla commisurazione della pena detentiva, la durata delle pene accessorie previste dalla disposizione censurata, sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 cod. pen.; durata che potrebbe dunque risultare, in concreto, maggiore di quella della pena detentiva contestualmente inflitta, purché entro il limite massimo di dieci anni. Ciò tenendo conto sia del diverso carico di afflittività, sia della diversa finalità, che caratterizzano le pene accessorie in parola rispetto alla pena detentiva: diverse afflittività e finalità che suggeriscono, nell’ottica di una piena attuazione dei principi costituzionali che presiedono alla commisurazione della pena, una determinazione giudiziale autonoma delle due tipologie di pena nel caso concreto.

Al via dunque, a pene accessorie flessibili per tutti i reati di bancarotta semplice e fraudolenta.

 

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