La Cassazione ha confermato il licenziamento di un lavoratore dipendente per aver illegittimamente usufruito dei permessi disposti dalla legge n. 104/1992

La norma cardine in materia di permessi lavorativi retribuiti è la legge quadro sull’handicap (Legge 5 febbraio 1992, n. 104) che all’articolo 33 prevede alcune agevolazioni lavorative per i familiari che assistono persone con handicap e per gli stessi lavoratori con disabilità. La vicenda attiene proprio a tale materia.

È legittimo per il datore di lavoro avvalersi di agenzie di investigazione per controllare i propri dipendenti soprattutto durante i periodi di sospensione del rapporto al fine di consentire al datore di lavoro di prendere conoscenza di comportamenti del lavoratore, che, pur estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa, siano rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro, che permane nonostante la sospensione.

Era dipendente di una industria alimentare, inquadrato nel 4 livello del CCNL di settore.

L’azienda datrice di lavoro lo aveva tuttavia licenziato a seguito della contestazione di una indebita utilizzazione dei permessi ex legge n. 104/1992 durante il periodo natalizio.

Tale indebita utilizzazione era emersa da quanto riferito dall’agenzia di investigazione privata, incaricata dall’azienda di “sorvegliare” il lavoratore.

Ed in effetti quest’ultimo anziché prestare assistenza al proprio familiare, per il quale usufruiva dei permessi, aveva svolto attività varie di tipo personale (presso esercizi commerciali ed altri luoghi comunque diversi da quello deputato all’assistenza).

In primo grado, il Tribunale adito aveva confermato il provvedimento espulsivo ritenendo peraltro legittime le investigazioni disposte dall’azienda.

La decisione era stata confermata anche in appello. Ed in particolare, la Corte territoriale aveva richiamato i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità (decisioni n. 4894/2014 e n. 19955/2014) in ordine alla legittimità del controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi ex L. n. 104/1992 dal momento che lo stesso non riguardava l’adempimento della prestazione, essendo effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere tale prestazione; di conseguenza riteneva utilizzabili gli esiti di tale investigazione e così anche delle dichiarazioni testimoniali rese dagli investigatori che avevano effettuato i controlli.

La decisione della Cassazione

L’esito del processo non è mutato in Cassazione. Ed in effetti, i giudici della Suprema Corte hanno respinto il ricorso del lavoratore dipendente.

In particolare, quanto alla dedotta illegittimità delle indagini investigative compiute dalla società datrice di lavoro per violazione del principio di libertà e della riservatezza del lavoratore, gli Ermellini hanno fatto espresso richiamo al principio giurisprudenziale secondo cui i controlli demandati dal datore di lavoro ad agenzie investigative, riguardanti l’attività lavorativa del prestatore, svolta anche al di fuori dei locali aziendali, non sono preclusi ai sensi degli artt. 2 e 3 st. lav., laddove non riguardino l’adempimento della prestazione lavorativa, ma siano finalizzati a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo (v. Cass. 12 settembre 2018, n. 22196; Cass. 11 giugno 2018, n. 15094; Cass. 22 maggio 2017, n. 12810).

È stato, inoltre, più di una volta precisato che tali agenzie di investigazione, per poter operare lecitamente, non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’art. 3 dello Statuto dei lavoratori direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, restando invece giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che gli illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. 14 febbraio 2011, n. 3590; Cass. 20 gennaio 2015, n. 848).

Peraltro non può neppure dirsi contrario al principio di buona fede o al divieto di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (che vieta l’utilizzo di impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo per controllare i dipendenti), ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere tale controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d’opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro (cfr. 10 luglio 2009, n. 16196).

I controlli durante i periodi di sospensione del rapporto di lavoro

I giudici della Cassazione hanno ritenuto legittimo tale controllo soprattutto durante i periodi di sospensione del rapporto al fine di consentire al datore di lavoro di prendere conoscenza di comportamenti del lavoratore che, pur estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa, siano rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro, che permane nonostante la sospensione.

Nella decisione n. 4984 del 2014 la Suprema Corte ha affermato il principio per cui il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex art. 33 L. n. 104/1992, si avvale dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi dell’abuso di diritto, dal momento che tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale.

La redazione giuridica

 

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