L’azione generale di ingiusto arricchimento ha come presupposto l’arricchimento di un soggetto a danno dell’altro, che deve essere avvenuto in assenza di giusta causa (Cass. civ. n. 18632/2015)

Nella sentenza in commento i giudici della Cassazione hanno considerato ammissibile l’azione di ingiusto arricchimento esperita da una donna nei confronti dell’ex convivente more uxorio.

La vicenda

La ricorrente aveva citato in giudizio l’ex convivente chiedendo che questi fosse condannato, ai sensi dell’art. 2041 c.c., a corrispondere la metà del valore di un immobile a lui solo intestato, che tuttavia era stato costruito principalmente grazie al suo contributo economico.

Chiedeva, in via alternativa, la condanna dello stesso al pagamento di una diversa somma sempre corrispondente agli importi dalla stessa investiti nella costruzione della proprietà.

In primo grado il giudice adito accoglieva la domanda principale, condannando il convenuto al pagamento della somma di 80.000,00 Euro in favore dell’ex compagna.

Ma in secondo grado la decisione veniva parzialmente riformata, riconoscendo a quest’ultima il diritto alla somma di 25.000,00 euro.

Seguiva pertanto, il ricorso per Cassazione.

Ad agire per la cassazione della sentenza fu proprio l’ex convivente il quale, con un primo motivo di impugnazione, denunciava la “inapplicabilità tout court dell’art. 2041 c.c. in ambito di convivenza more uxorio”, dovendosi ricondurre gli esborsi effettuati in corso di convivenza all’adempimento di doveri morali e sociali ex art. 2034 c.c.;

Perciò la Corte aveva “errato nel valutare solo l’aspetto economico“, senza considerare che i supposti trasferimenti di somme non erano privi di causa, in quanto effettuati dalla ex compagna “nell’ottica di contribuire alla ristrutturazione della “casa coniugale”“, anche al fine di provvedere alle necessità abitative del figlio allora minorenne.

Ma per i giudici della Cassazione tale motivo di ricorso non era ammissibile.

Ed infatti, è principio costantemente ribadito nella giurisprudenza di legittimità (da cui non v’è ragione di discostarsi), quello per cui è “possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza” (Cass. n. 11330/2009; cfr. anche Cass. n. 1277/2014 e Cass. n. 14732/2018.

Altrettanto inammissibile era il secondo motivo, quello attraverso il quale il ricorrente aveva tentato di ottenere una diversa valutazione di merito in ordine al fatto che gli esborsi travalicassero i limiti di proporzionalità e adeguatezza rispetto al mero adempimento di un’obbligazione naturale; tanto più perché – a giudizio della Cassazione – il difetto di una giusta causa non va inteso quale assenza di una ragione che abbia determinato la locupletazione in favore dell’arricchito, ma quale carenza di una ragione che consenta a quest’ultimo di trattenere quanto ricevuto.

L’azione di ingiusto arricchimento

A norma dell’art. 2041 c.c. “chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda”.

Si è soliti configurare tre diverse ipotesi, tutte verificabili nell’ambito di un rapporto di convivenza more uxorio, ove è possibile, secondo la giurisprudenza, esperire l’azione di arricchimento senza giusta causa. Si tratta di:

–       Acquisto di un bene immobile da parte di uno dei conviventi;

–       Ristrutturazione di un bene immobile finanziata da uno solo dei conviventi;

–       Acquisto di beni immobili sempre da parte di uno dei conviventi.

Rispetto alla prima ipotesi, pressoché analoga alla fattispecie in esame, la Suprema Corte di Cassazione ha già in passato avuto l’occasione di chiarire che esiste il diritto del convivente ad ottenere (tramite l’azione di arricchimento) la restituzione delle somme versate per l’acquisto della casa intestata all’ex compagna una volta cessata la convivenza (Cass. Civ. n. 18632/2015).

Si comprende allora la decisione dei giudici della Cassazione che hanno respinto il ricorso dell’uomo condannandolo, altresì, al pagamento delle spese di giudizio.

La redazione giuridica

 

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