Le Sezioni Unite della Suprema Corte chiariscono che deve ritenersi esclusa dall’ambito di applicazione della norma penale l’attività di coltivazione minima di piantine di cannabis svolta in forma domestica

Non è reato coltivare in casa piantine di cannabis, ma solo se destinate all’uso personale. Lo affermano le sezioni unite penali della Cassazione, con la sentenza n. 12348/2020, spiegando il principio di diritto emesso con una informazione provvisoria lo scorso dicembre.

“Il reato di coltivazione di stupefacenti – si legge nella pronuncia- è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente”.

Tuttavia, “devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.

Le sanzioni previste dall’articolo 75 del Testo unico sulle droghe (Dpr 309/1990) – spiegano gli Ermellini – non si applicano, infatti, alla “coltivazione domestica destinata all’autoconsumo”, in quanto  “tale disposizione non si riferisce in nessun caso alla coltivazione, neanche a quella penalmente rilevante”.

Nel caso in cui, “la coltivazione domestica a fini di autoconsumo produca effettivamente una sostanza stupefacente dotata di efficacia drogante, le sanzioni amministrative potranno essere applicate al soggetto agente considerato non come coltivatore, ma come detentore di sostanza destinata a uso personale”.

La risposta punitiva rispetto alla coltivazione di piante stupefacenti – osserva ancora la Suprema Corte – avviene secondo una “graduazione”: “devono considerarsi lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo, per mancanza di tipicità, nonché la coltivazione industriale che, all’esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente per mancanza di offensività in concreto”.

La detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, “anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo”. Quanto, infine, alla coltivazione “penalmente illecita”, restano comunque applicabili sia il principio di non punibilità se ricorrono i presupposti della “tenuità del fatto”, sia la “lieve entità” di cui parla l’articolo 73 del Testo unico sulle droghe. 

La redazione giuridica

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