Negli ultimi anni le neuroscienze hanno studiato approfonditamente quella che viene chiamata plasticità neurale, cioè la capacità del cervello di modificarsi sia durante lo sviluppo che da adulto, a seguito di esperienze e influenze ambientali.
Già nel 1890, lo psicologo William James descrisse il cervello come dotato di una certa plasticità consistente in:
“un processo di una struttura abbastanza debole da cedere ad un’ influenza, ma abbastanza forte da non cedere all’improvviso. Il tessuto nervoso sembra dotato in misura straordinaria di questo tipo di plasticità, cosicché possiamo stabilire […] che negli esseri viventi i fenomeni di abitudine sono dovuti alla plasticità dei materiali organici di cui sono composti i loro corpi”
Si è dovuto aspettare fino a tempi molto più recenti affinché si riconoscesse che il cervello non è quell’organo dotato di un certo numero di cellule nervose che possono andare solo incontro ad un deterioramento, ma è un organo dotato di plasticità. La plasticità cerebrale è la risposta adattativa a stimolazioni-sollecitazioni che porta ad una riorganizzazione dei circuiti nervosi e migliora le funzioni del cervello. Sulla base della plasticità il cervello è potenziato dall’esperienza, sia interna che esterna,  è capace di apprendere, ricordare e rigenerarsi dopo lesioni.
Nel corso degli anni la scoperta della formazione di nuove cellule nervose nel cervello adulto ha letteralmente sovvertito il dogma vigente in passato. L’esperienza, gli stimoli ambientali, gli stati psicologici, vanno ad influire sul nostro cervello modificandone la struttura. Woollett, K., & Maguire nel 2011, ad esempio, hanno dimostrato che il cervello dei guidatori di taxi londinesi rispetto a quello dei cittadini londinesi non guidatori di taxi è caratterizzato da un maggior volume dell’area posteriore dell’ippocampo, struttura cerebrale cruciale per la memoria e la ricerca visuo-spaziale.
Naturalemente i cambiamenti del cervello possono essere positivi o negativi, un soggetto può ammalarsi a causa di ciò che ha subito, ma bisogna ricordarsi che la strada non è a senso unico: dopo una modifica negativa, il cervello può anche subire una modifica in direzione di un miglioramento.
In che modo?
Da Kandel in poi, è stato dimostrato che la psicoterapia non è solo un efficace trattamento psicologico  in grado di indurre dei significativi cambiamenti nella sfera psichica dei soggetti affetti da un disturbo, mutamenti persistenti negli atteggiamenti, nelle abitudini e nel comportamento conscio e inconscio, ma che lo fa anche producendo alterazione dell’espressione dei geni che producono mutamenti strutturali nel cervello e, più precisamente, dei cambiamenti nell’attività funzionale di alcune aree del cervello. Alcune ricerche scientifiche evidenziano che la psicoterapia produce modificazioni nel cervello, esattamente come un agente chimico. Insomma, il nostro cervello ha cioè la possibilità di attivare nuovi circuiti neuronali rispetto ad una specifica funzione, che si sostituiscono a quelli precedentemente utilizzati, ove ciò risultasse necessario o più economico e funzionale per l’adattamento dell’individuo alle circostanze esterne. Su questo meccanismo si fonda e si dimostra l’efficacia della psicoterapia!

Dott.ssa Rosaria Ferrara

(psicologa forense)

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