Che cosa accade se la cartella clinica è incompleta? Manca la prova della diligenza del sanitario e quindi è presunzione di colpa

Esiste presunzione di colpa dei sanitari in caso di paziente danneggiato il quale può provare sia la lesione patita che il nesso con la condotta del sanitario.

Questo principio è stato affermato dal Tribunale di Palermo con la sentenza n. 3612 depositata il 5 luglio 2017.

I fatti

A chiamare in causa la locale Azienda sanitaria, al fine di ottenere il risarcimento del danno da responsabilità sanitaria, sono i genitori di un bimbo, nato con parto cesareo.

I genitori del neonato esponevano che, dopo un decorso della gravidanza regolare e due giorni di ricovero, a seguito di intervento di taglio cesareo, G. dava alla luce un bimbo che veniva prontamente ricoverato presso l’UTIN a causa di una asfissia intrapartum. Tale condizione aveva causato gravi danni al minore (encefalopatia da sofferenza anossoischemica perinatale con epilessia generalizzata sintomatica e paralisi infantile di tipo tetraplegico), con danni permanenti del 100%. Oltre la genericità nella compilazione della cartella, lamentavano gli attori la sussistenza di gravi responsabilità dei sanitari che non avevano intuito la gravità delle condizioni del feto, ritardando il parto. In considerazione della gravità dei danni permanenti riportati dal minore, sussisteva anche un profilo di danno iure proprio patito dagli attori. Concludevano, quindi, chiedendo la condanna della convenuta al risarcimento del danno, con vittoria di spese. Ritualmente l’Azienda sanitaria convenuta, contestava le allegazioni di parte attrice, chiedendo il rigetto delle domande.

Nel corso del processo veniva espletata una consulenza tecnica medico-legale.
Il Tribunale ha condannato l’azienda sanitaria a versare al minore un risarcimento del danno paria ad €. 1.506.100,00= oltre a costituire a favore del minore una rendita vitalizia, individuata in un valore pari, al mese, al triplo della pensione sociale, ex art. 2057 c.c. a risarcimento del danno patrimoniale futuro da perdita totale della capacità lavorativa. A favore di ciascuno dei genitori ha inoltre riconosciuto un risarcimento pari ad € 300.000,00.

Sono state respinte le domande nei confronti della terze chiamate.

La prova dell’esatto adempimento

Il Tribunale di Palermo, con l’accoglimento della domanda di risarcimento, ha sottolineato come, da un lato, la cartella clinica del ricovero dal momento dell’ingresso presso la struttura ospedaliera sino al parto cesareo fosse stata compilata in maniera molto lacunosa, e, dall’altro, come l’ospedale non avesse fornito prova alcuna dell’esecuzione di tre tracciati e tre visite di controllo della gestante nel periodo compreso tra il ricovero ed il parto cesareo.

La disposta consulenza medico legale ha messo evidenza come le condizioni del neonato siano apparse coerenti con la diagnosi di esiti di sofferenza anossoischemica perinatale con epilessia generalizzata sintomatica, paralisi infantile di tipo tetraplegico e ritardo neuropsicomotorio.

Ebbene, per affermare la responsabilità del medico, spetta al danneggiato provare il nesso causale tra l’omissione sanitaria e il danno, e tale prova, ritiene il Tribunale di Palermo, può dirsi raggiunta se «da un lato non vi sia certezza che il danno cerebrale patito dal neonato sia derivato da cause naturali o genetiche e, dall’altro, appaia più probabile che non che un tempestivo o diverso intervento da parte del medico avrebbe evitato il danno». Una volta fornita tale prova, come è stato sottolineato da una costante giurisprudenza (ex plurimis Cass. 11789/2016) sarà onere del sanitario «dimostrare la scusabilità della propria condotta».

Il principio di vicinanza della prova

Ebbene, nel caso in esame le scarse informazioni riportate nella cartella clinica non hanno permesso di acquisire elementi specifici che avrebbero potuto documentare pregresse alterazioni o anomalie della partoriente, difetti genetici del feto o cause naturali del danno cerebrale.

E del resto gli Ermellini hanno evidenziato come la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non potrebbe mai finire per pregiudicare, sul piano probatorio, il paziente danneggiato (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice di merito, che aveva escluso la responsabilità dei sanitari nonostante non risultassero per sei ore annotazioni sulla cartella clinica di una neonata, nata poi con grave insufficienza mentale causata da asfissia perinatale, così da rendere incomprensibile se poteva essere più appropriata la rilevazione del tracciato cardiotocografico rispetto alla mera auscultazione del battito cardiaco del feto; cfr. Cass. Civ., Sez. 3, Sent. n. 6209 del 31/03/2016).

Al contrario proprio per questo motivo, non essendo possibile la prova diretta a causa del comportamento della parte accusata di responsabilità medica, al paziente sarà consentito, per il principio della “vicinanza della prova” ricorrere persino a presunzioni.

E tanto vale non solo per accertare l’eventuale colpa del sanitario, ma anche per l’individuare il nesso eziologico tra la condotta contestata e le conseguenze dannose patite.

Nel caso de quo, quanto accaduto, secondo il Tribunale, non poteva che essere addebitato all’operato dei sanitari che avevano omesso di effettuare quel corretto e periodico monitoraggio che avrebbe perlomeno consentito loro di sospettare l’insorgenza della sofferenza e, di conseguenza, indurli ad attivarsi immediatamente con il parto cesareo.

Si sottolinea che neanche l’Azienda sanitaria aveva provato il regolare adempimento della prestazione dei medici, la corretta vigilanza o lo svolgimento dei doverosi controlli sulla gestante.

Gli omessi controlli post partum

La sentenza in esame ha messo in evidenza che l’assenza di più attente analisi e di controlli subito dopo il parto (descrizione liquido, prelievo sangue, della placenta, del funicolo e delle membrane) ha reso, per fatto ascrivibile al convenuto, non possibile rinvenire ulteriori elementi in ordine a tali circostanze.

I consulenti d’ufficio hanno concluso sostenendo che sussiste il nesso di causa tra la condotta dei sanitari della struttura convenuta e le condizioni del minore per negligente omissione da parte dei predetti sanitari dei dovuti controlli clinico-strumentali per il monitoraggio delle condizioni del feto e della madre durante la degenza e sino al taglio cesareo. Ed infatti, solo un corretto e periodico monitoraggio avrebbe evitato o quantomeno consentito di sospettare l’insorgenza dell’insulto ipossico/ischemico perinatale, con tempestiva esecuzione dell’intervento di taglio cesareo.

In particolare i consulenti d’ufficio, riscontrando le osservazioni di quelli di parte, hanno precisato che nella cartella clinica non era annotata alcuna obiettività all’esito del primo esame di ingresso. Del resto il taglio cesareo è stato eseguito in emergenza ed il bimbo è nato in assenza di battito cardiaco.

Il Tribunale di Palermo ritiene non provato da parte della convenuta l’adempimento della prestazione, con corretta vigilanza e monitoraggio sulla paziente e con tempestiva esecuzione di taglio cesareo in condizione di insorta sofferenza

Degne di rilevo sono anche le conclusioni dei consulenti d’ufficio in ordine alla riconducibilità delle condizioni del minore all’evento ipossicoischemico acuto : riguardo ai criteri richiesti dalle tre Consensus Statement citate dai consulenti in relazione ai criteri richiesti per il corretto inquadramento del danno cerebrale conseguente ad evento ipossicoischemico acuto, si rileva, come già indicato nelle risposte ai Consulenti dell’Azienda sanitaria, che il bimbo nacque con taglio cesareo eseguito in emergenza, senza battito cardiaco e che necessitò di immediata e prolungata rianimazione cardiopolmonare. Non fu eseguita emogasanalisi su sangue prelevato dall’arteria ombelicale, ma i segni indiretti di disfunzione multiorgano conseguenti alla sofferenza ipossicoischemica sono documentati agli atti (ritardata diuresi, ritardata emissione di meconio e feci, bassi valori pressori) e, comunque, il primo dato emogasanalitico eseguito quasi due ore dopo la nascita e dopo manovre rianimatorie cardiorespiratorie, evidenzia ridotti valori di pH e pO2 e aumentato valore di pCO2. Anche la sindrome da distress respiratorio, successivamente diagnosticata dai Neonatologi che ebbero in cura il neonato fino al 16.07.2002, può essere ricondotta all’asfissia intrapartum”.

Le considerazioni su esposte hanno determinato il Tribunale di Palermo ad affermare la responsabilità della convenuta Azienda sanitaria che non ha provato l’esatta esecuzione della prestazione alla quale era tenuta.

 

Avv. Maria Teresa De Luca

 

 

 

 

 

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