Al giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della sentenza penale si applicano le regole processuali civili, con la conseguente applicazione del canone civilistico del “più probabile che non” e senza alcun vincolo per il giudice civile, nella ricostruzione del fatto, di quanto accertato nel processo penale

La vicenda

Nel 2002 il Tribunale di Modica condannava un medico alla pena (sospesa) di sei mesi di reclusione, al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile e al pagamento delle spese processuali, perché ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo ai danni di un paziente.

L’accusa era quella di essersi limitato ad eseguire sulla vittima, presentatasi al pronto soccorso, ove egli prestava servizio, accusando disturbi respiratori, dolori allo stomaco, al petto, al braccio e alla parte laterale destra, una puntura intercostale e un elettrocardiogramma e di averlo dimesso, con la diagnosi di torocoalgia conseguente ad esofagite da reflusso, omettendo invece, di effettuare un prelievo ematico, di tenere il paziente in osservazione ai fini di eseguire un nuovo ECG o un nuovo esame del sangue per controllare il dosaggio della troponina che avrebbero consentito di accertare e diagnosticare la malattia cardiaca e di avviare l’adeguato percorso terapeutico.

Il paziente moriva per insufficienza cardiorespiratoria acuta, dissociazione elettromeccanica con arresto cardiaco irreversibile, dopo qualche ora, dopo essere tornato al pronto soccorso, in ragione del protrarsi dei dolori toracici accompagnati da senso di soffocamento; e dopo essere stato sottoposto a un nuovo elettrocardiogramma che non evidenziava alterazioni ischemiche e trattato per via infusionale con farmaco gatroprotettore.

All’esito del giudizio di secondo grado, la corte d’appello di Catania assolveva l’imputato per assenza di prova del nesso causale tra la condotta omissiva e l’evento morte, con la formula perché il fatto non sussiste e, nel 2015, la Corte di Cassazione penale, su ricorso promosso dalla parte civile, ai soli effetti della responsabilità civile annullava la sentenza gravata con rinvio al giudice civile competente, affinché con giudizio controfattuale valutasse se, anche in presenza della patologia cardiaca da cui era affetta la vittima, il rispetto delle linee guida da parte dell’imputato, avrebbe consentito di effettuare una diagnosi differenziale e di intervenire tempestivamente in modo risolutivo.

La Corte d’Appello di Catania, in sede di rinvio, ex art. 622 c.p.p., dichiarava la responsabilità professionale dell’imputato, ne rigettava l’appello interposto agli effetti civili contro la sentenza del Tribunale, confermava la condanna al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio e lo condannava al pagamento di una provvisionale di euro 150.000,00.

A proporre ricorso per Cassazione è stato lo stesso imputato.

Le questioni controverse affrontante dai giudici della Terza Sezione Civile della Cassazione sono:

  • se ai fini dell’accertamento del nesso causale tra condotta omissiva ed evento nel giudizio di rinvio davanti alla Corte d’Appello, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., in seguito all’annullamento della sentenza penale limitatamente ai capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile, il giudice del rinvio sia vincolato o meno alle statuizioni sul punto emergenti dalla pronuncia della Corte di Cassazione penale, come pretende il ricorrente, ovvero se, fermo l’accertamento dei fatti materiali operato dal giudice penale, il giudice del rinvio possa rivalutarli in via autonoma qualora da essi dipenda il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno;
  • se il giudice civile sia tenuto ad applicare le regole di giudizio del diritto penale e non le distinte regole di giudizio consolidatesi nella giurisprudenza civile;

Il nodo preliminare che la Cassazione ha dovuto sciogliere riguarda i rapporti — se di autonomia o di indipendenza — del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. rispetto al giudizio penale conclusosi con la sentenza di annullamento con rinvio emessa dalla Corte di Cassazione penale.

E ciò in quanto l’art. 622 c.p.p. si limita a disporre, con un meccanismo inverso rispetto a quello di cui all’art. 75 c.p.p., relativo alla trasmigrazione dell’azione civile già esercitata nel processo civile innanzi al giudice penale, che la Corte di Cassazione, qualora annulli la sentenza impugnata, debba, ai soli effetti civili e quando occorre, rinviare la causa al giudice civile competente per valore in grado di appello, senza null’altro disciplinare quanto alle norme processuali destinate a regolare la prosecuzione del giudizio innanzi al giudice civile.

«Il problema che sta a monte  – osservano gli Ermellini – è che mentre la tutela giurisdizionale civile garantisce una reazione alla violazione dei diritti e tutta l’attività svolta nel processo civile costituisce lo strumento per l’attuazione dei diritti, il processo penale non solo persegue l’obiettivo di applicare la legge penale alla fattispecie concreta, ma “riveste una ben più ampia funzione politico-assiologica di tutela di tutti i valori e gli interessi in gioco, a partire dai diritti fondamentali dell’imputato”».

L’autonomia del giudizio civile di rinvio

La conclusione cui è giunta la Suprema Corte è stata comunque quella di affermare che il giudizio in sede civile conseguente alla cassazione della sentenza penale sia autonomo sostanzialmente e funzionalmente da quello penale e legato ad esso solo dal punto di vista formale, rappresentando il giudizio di rinvio, ex art. 622 c.p.p., la via fisiologica per transitare dal processo penale a quello civile quando parte impugnante sia la parte civile: non essendo più in discussione i temi centrali del giudizio penale, quali la sussistenza del fatto, la sua illiceità e l’attribuibilità all’imputato, l’ulteriore svolgimento del giudizio davanti al giudice civile si configura come prosecuzione solo formale del processo penale, giacché presenta quell’autonomia strutturale e funzionale che concretizza la scissione tra le materie oggetto del giudizio, con la restituzione dell’azione civile alla giurisdizione cui essa naturalmente compete.

In buona sostanza, nel giudizio di rinvio non vi è più spazio per ulteriori interventi del giudice penale, essendo venuta meno l’esigenza di qualunque accertamento agli effetti penali; il processo sul versante penalistico risulta del tutto esaurito ed il seguito appartiene al giudice civile, alla sua competenza ed alle regole proprie del processo civile.

Ed invero, un dato è certo: l’annullamento del giudizio penale preclude un ritorno del processo al giudice penale in ogni caso. Da ciò se ne ricava l’autonomia del giudizio civile di cui all’art. 622 c.p.p. rispetto al processo penale.

Tale autonomia reca con sé i seguenti corollari:

  • l’individuazione della domanda risarcitoria e restitutoria — petitum e causa petendi — avviene sulla scorta della rappresentazione del danneggiato costituitosi parte civile;
  • i fatti costitutivi della domanda non sono gli stessi del fatto reato, perciò possono essere oggetto di diversa valutazione;
  • i canoni probatori applicabili sono quelli del giudizio civile, anche relativamente al nesso di derivazione causale, essendosi reciso il legale con la fase penale. Una volta separata la res iudicanda penale da quella civile, a quest’ultima debbono applicarsi le regole processuali civili, con la conseguente sufficienza di un minor grado certezza in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito, secondo il canone civilistico del “più probabile che non” e senza alcun vincolo per il giudice civile nella ricostruzione del fatto di quanto accertato dal giudice penale;
  • i reati a condotta vincolata non vincolano il giudice del rinvio, sicché si possono far valere indifferentemente condotte causative del danno diverse o quelle tipizzate;
  • l’elemento soggettivo dell’illecito civile è sganciato da quello accertato con diversa finalità in sede penale; si può accertare la colpa rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c. anche se in sede penale fosse oggetto di accertamento un reato doloso; la colpa penale e quella civile non coincidono, se non morfologicamente, ai sensi dell’art. 43 c.p., ma differiscono funzionalmente; in altre parole, non potrà escludersi l’eventuale, diversa valutazione dell’elemento soggettivo (colpa anziché dolo) né una differente qualificazione del titolo di responsabilità ascritta al danneggiante, ove i fatti costitutivi posti a fondamento dell’atto di costituzione di parte civile siano gli stessi che il giudice di appello è chiamato ad esaminare;
  • il titolo di responsabilità può essere oggetto d’ufficio di una diversa qualificazione dei medesimi fatti costitutivi posti a fondamento dell’atto di costituzione parte civile;
  • le cause di esclusione della punibilità e le esimenti non producono effetti preclusivi sulla domanda risarcitoria (come risulta dalla legge Gelli Bianco e dalla legge sulla legittima difesa).

La decisione

Ebbene, quanto al caso in esame, la Cassazione (Terza Sezione Penale n. 22520/2019) ha confermato la decisione assunta dalla corte di merito che, dopo aver adeguatamente motivato la propria scelta, senza incorrere in vizi logico-giuridici, aveva adottato la regola del più probabile che non, propria del giudizio civile, e, dopo aver svolto una puntuale analisi di tutte le emergenze istruttorie, aveva ritenuto che la morte della vittima fosse stata causata da un errore diagnostico che aveva indotto l’imputato a non attenersi alle linee guida applicabili nel caso di paziente con possibile patologia cardiaca.

“A prescindere dall’esito negativo dell’elettrocardiogramma e dal fatto che la morte del paziente fosse riconducibile ad ischemia — ipotesi più plausibile — o ad aritmia ventricolare maligna — ipotesi secondaria ed indotta dalle inadeguate ed insufficienze evidenze dell’esame istologico – anche ipotizzando che un monitoraggio strumentale eseguito tra il primo ed il « secondo elettrocardiogramma non avrebbe evidenziato alterazioni significative e che l’esame degli enzimi ematici non avrebbe rilevato la concentrazione di troponima, l’applicazione della regola della preponderanza dell’evidenza, in assenza di ogni altra causa possibile del decesso, aveva correttamente indotto il giudice del rinvio ad affermare che se il paziente fosse stato ricoverato in osservazione, il ricorrente sarebbe giunto, anche consultando un medico specialista che avrebbe potuto eseguire un ecocardiogramma, alla giusta diagnosi ed avrebbe potuto intraprendere le terapie, che avrebbero potuto, se pur senza certezza, risolvere la manifestazione acuta della patologia e stabilizzare farmacologicamente il paziente al fine di trasferirlo in un centro di emodinamica”.

Avv. Sabrina Caporale

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