Nel giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 622 c.p.p., si applicano le regole processuali civili, con conseguente sufficienza di un minor grado di certezza in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito, secondo il canone civilistico del “più probabile che non ”

La vicenda

Gli attori avevano convenuto in giudizio, dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro, due medici e l’Azienda sanitaria provinciale chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni subiti, iure proprio e iure hereditatis, in conseguenza del decesso del loro congiunto, avvenuto nel reparto di cardiologia-terapia intensiva dell’ospedale per un “arresto cardiocircolatorio per tamponamento cardiaco conseguente ad aneurisma dissecante della radice dell’arco aortico”.

I medici erano stati rinviati a giudizio per rispondere del reato di omicidio colposo in cooperazione tra loro.

Secondo l’accusa i due sanitari avevano sottovalutato il quadro sintomatologico del paziente ed avevano, altresì, omesso di eseguire i doverosi accertamenti strumentali e di laboratorio funzionali alla corretta diagnosi e quindi, di sottoporre il paziente con tempestività ad un adeguato trattamento farmacologico e chirurgico.

All’esito del giudizio di primo grado, il giudice penale assolveva entrambi i medici dal reato loro ascritto, per aver ritenuto non sufficientemente provata la loro negligenza ed imperizia e in ogni caso, poiché mancava la prova del nesso di causalità tra la condotta asseritamene omissiva e il decesso del paziente alla luce dei principi stabiliti dalla cassazione penale con la nota sentenza Franzese.

In secondo grado, la corte d’appello di Catanzaro riformava la sentenza, condannando entrambi gli imputati in solido, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili, da liquidare in separato giudizio.

A seguito di un primo rinvio i giudici dell’appello investiti del risarcimento in favore delle parti civili, dichiaravano da una parte, il difetto di legittimazione dell’ASP per non aver partecipato al processo penale, dall’altra parte, l’inammissibilità della domanda risarcitoria formulata dai congiunti della vittima, posto che da quanto emerso in sede di indagine peritale, la condotta omissiva e gravemente negligente dei due dottori si era collocata in un arco temporale in cui le probabilità di sopravvivenza del paziente erano già estremamente ridotte, con la conseguenza che il comportamento doveroso omesso non avrebbe avuto, con elevato grado di probabilità prossimo alla certezza, effetto salvifico.

La vicenda è così tornata nuovamente in Cassazione.

Secondo i ricorrenti (i parenti della vittima), ai fini dell’addebito della responsabilità in sede civile, la percentuale di sopravvivenza individuata dal ctu nominato nel giudizio di rinvio, avrebbe dovuto indurre la corte d’appello a riconoscere il diritto al risarcimento.

Il giorno in cui i dottori ebbero in cura il paziente, a distanza di un solo giorno dall’esordio sintomatologico, vi era almeno il 50% di probabilità di sopravvivenza per quest’ultimo.

La definizione di una completa e corretta diagnosi avrebbe, perciò, offerto la possibilità di un immediato trasferimento, che con l’elisoccorso non avrebbe impiegato più di mezz’ora per raggiungere la struttura più vicina, con la possibilità di sottoporre il loro congiunto ad un trattamento chirurgico adeguato alla patologia in essere (che non è detto avrebbe cambiato la prognosi definitiva). A tal proposito avevano rilevato che il giudice civile, al contrario di quello chiamato a verificare il nesso di casualità in sede penale, non deve raggiungere un grado di probabilità prossimo alla certezza al fine dell’imputazione della responsabilità.

“Il motivo è fondato”– hanno dichiarato i giudici della Terza Sezione Civile della Cassazione con la sentenza in commento (n. 22518/2019).

La questione giuridica

Si discute se, ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno, nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., continuino ad applicarsi le regole processuali penali, con la conseguenza che l’an della responsabilità debba essere accertato secondo il canone “dell’aldilà ogni ragionevole dubbio” o se invece, una volta separata la res iudicanda penale dalla res iudicanda civile, a quest’ultima possano applicarsi le regole processuali civili, con conseguente sufficienza di un minor grado di certezza in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito, secondo il canone civilistico del “più probabile che non”.

Sul punto gli orientamenti sono discordanti.

Tuttavia, i giudici della Cassazione Civile hanno affermato che “verificatosi un giudizio agli effetti penali, appare ragionevole che all’illecito civile tornino ad applicarsi le regole sue proprie, soprattutto in punto di criterio di giudizio (più probabile che non, in luogo dell’aldilà di ogni ragionevole dubbio), funzionali all’individuazione del soggetto su cui, secondo il sistema del diritto civile far gravare il costo di un danno e non la comminatori di una sanzione penale”.

D’altra parte, tale conclusione appare in linea con la pronuncia delle Sezioni Unite penali che ha affermato l’applicabilità, nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p., delle regole e delle forme della procedura civile (Sez. Un. n. 40109/2013).

Ebbene, con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha inteso proprio ribadire quest’ultimo orientamento, cosicché la sentenza è stata nuovamente cassata con rinvio.

Avv. Sabrina Caporale

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