La Cassazione ha definitivamente rigettato la domanda di protezione internazionale richiesta da un cittadino nigeriano. Non costituisce motivo di “vulnerabilità l’aver abbandonato il proprio Paese di origine esclusivamente per il desiderio di trovare migliori condizioni di vita e possibilità di lavoro”

La vicenda

Un cittadino nigeriano aveva presentato ricorso per la cassazione del decreto pronunciato dal Tribunale di Potenza – Sezione specializzata in Materia di immigrazione e protezione internazionale – che, su opposizione, presentata ai sensi dell’art. 35 D.Lgs. n. 25/2008, aveva confermato la decisione di rigetto della dell’istanza di concessione di protezione internazionale e forme complementari di protezione, emessa dalla Commissione Territoriale di Foggia.

In particolare, per quanto concerne l’istanza di protezione per l’ottenimento dello status di rifugiato, il Tribunale aveva rilevato il fatto che il ricorrente non avesse “fornito elementi gravi precisi e concordanti relativi alle proprie vicende personali” nonché la sussistenza “di atti di persecuzione o di gravi danni alla persona e di pericolo concreto, effettivo ed attuale, di ulteriore perpetrazione degli stessi in caso di rimpatrio” anche tenuto conto della zona di provenienza del paese di origine”.

Allo stesso tempo, il Tribunale non aveva ritenuto idonei i fatti narrati ad integrare neppure i presupposti, previsti dall’art. 2 e 14 D.Lgs. 251/2007; e relativamente all’istanza di concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, non aveva ritenuto sussistenti i motivi di vulnerabilità soggettiva/oggettiva” posto che il ricorrente aveva “effettivamente abbandonato il proprio paese di origine esclusivamente per il desiderio di trovare migliori condizioni di vita e possibilità di lavoro.”

La pronuncia della Cassazione

La pronuncia è stata confermata dai giudici della Suprema Corte (Prima Sezione Civile, ordinanza n. 7148/2020): a tal fine sono state ritenute decisive le contraddizioni emergenti dall’audizione del cittadino nigeriano in sede giudiziale rispetto a quella fornita in sede di Commissione territoriale: le incongruenze del racconto fornito nelle due sedi lo avevano reso del tutto inattendibile e carente degli elementi richiesti per la concessione della protezione, sia con riferimento allo status di rifugiato, sia per la protezione sussidiaria (ex art. 2 e 14 D.Lgs. 251/2007), non risultando una situazione di violenza indiscriminata in Nigeria né conflitti armati interni o internazionali. Al riguardo, il Tribunale aveva escluso, con motivazione coerente e in base alle prove offerte dal richiedente, la sussistenza di elementi idonei a ravvisare un concreto effettivo e attuale pericolo in caso di rimpatrio.

Parimenti, non è stata ritenuta sufficiente, al fine di provare l’integrazione del richiedente (soggiornante irregolare) nel territorio dello stato italiano, la prova della sua attività di volontariato e lo studio della lingua italiana.

In definitiva, preso atto della non credibilità e veridicità delle dichiarazioni del cittadino straniero, la Corte ha confermato anche il rifiuto alla protezione sussidiaria.

La redazione giuridica

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