In caso di sinistro stradale la prova liberatoria non è necessaria per un conducente quando viene accertata la colpa esclusiva dell’altro

L’accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti e della regolare condotta di guida dell’altro, libera quest’ultimo dalla presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall’art. 2054, comma 2, c.c., nonché dall’onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno dimostrando l’impossibilità di una condotta diversa o la diligenza massima in relazione alle circostanze del caso concreto.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, sez. VI, con l’ordinanza n. 4130 del 16.2.2017 (Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente – Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere.)

I fatti

La Corte territoriale di Palermo ha ritenuto che il sinistro nel quale a seguito dello scontro tra un motoveicolo e un autoveicolo, decedeva il conducente del primo mezzo, fosse imputabile ad esclusiva colpa del motociclista che, procedendo a velocità molto elevata e senza fornire la dovuta precedenza all’autovettura che proveniva da destra e si era immessa nell’incrocio era andato ad impattare, al centro della carreggiata di pertinenza, sulla fiancata anteriore sinistra del veicolo che procedeva a ridotta velocità.
La conducente l’autovettura, indagata per omicidio colposo, era stata assolta dalla imputazione con formula il “fatto non costituisce reato”.
I ricorrenti (conducente l’autoveicolo e assicurazione) hanno impugnato la sentenza con un unico motivo con il quale deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c..

La responsabilità di cui all’art. 2054, comma 1, c.c.

La norma fondamentale in materia è rappresentata dal primo comma dell’art. 2054 c.c., che dispone che “il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”.
Tale norma esprime un principio di carattere generale applicabile a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni, e quindi anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia o contrattuale.
Si deve sottolineare come la presunzione di colpa del conducente del veicolo non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito fondato sul rapporto di causalità tra evento dannoso e condotta umana, nel senso che, anche se il conducente del veicolo non abbia fornito la prova idonea a vincere la suddetta presunzione, non è preclusa l’indagine da parte del giudice di merito in ordine al concorso di colpa del danneggiato, con la conseguenza che, quando vengano accertate la pericolosità e l’imprudenza della condotta del danneggiato, la colpa di questo concorre, ex art. 1227 c.c., comma 1, con quella presunta del conducente.
In buona sostanza, il comportamento colposo del danneggiato non è sufficiente, da solo, a superare la presunzione posta a carico del conducente del veicolo, in mancanza della prova che egli abbia fatto tutto il possibile per evitare il danno, e, dall’altro, il mancato raggiungimento della prova che incombe sul conducente non esclude che la condotta colposa del danneggiato sia idonea a limitare la responsabilità del conducente del veicolo investitore, quando esista un rapporto di causalità tra tale comportamento e l’incidente.
In ogni caso l’onere per il conducente di un veicolo di fornire la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno è valida per i danni cagionati a terzi estranei alla circolazione, ma non anche nello scontro tra veicoli, poiché in questo caso ciascun conducente non deve provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ma la colpa o il concorso di colpa dell’altro.
Tra l’altro il conducente del veicolo può vincere la presunzione di colpa a suo carico fornendo la prova che il sinistro si è verificato a causa di un malessere fisico e/o psichico improvviso, solo nel caso in cui il malessere sia del tutto imprevedibile ed inevitabile da parte del conducente medesimo, per non avere mai egli sofferto in precedenza della stessa patologia o di patologie simili.
In definitiva, l’art. 2054 c.c. esprime, in ciascuno dei commi da cui è formato, principi di carattere generale che possono essere applicati a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni e, pertanto, anche ai trasportati, qualunque sia il titolo del trasporto, di cortesia, contrattuale, oneroso o gratuito, potendo il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto, invocare i primi due commi dell’art. 2054 c.c. per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il comma 3 per far valere quella solidale del proprietario, il quale può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà, ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno o, ancora, in caso di guasto tecnico, dando prova del caso fortuito o dell’inesistenza del vizio di manutenzione o costruzione (Cass. civ., sez. III, 21-05-2014, n. 11270; in Mass., 2014, 381; Arch. Circolaz., 2014, 715).

La decisione

I ricorrenti ritengono che la Corte d’Appello non abbia applicato la presunzione legale ex art. 2054, comma secondo, c.c., di concorrente responsabilità dei conducenti dei veicoli nella produzione dell’evento lesivo.
Si deve sottolineare, da un lato, che i ricorrenti fondano l’asserito vizio di legittimità sulla valutazione della sussistenza del concorso di responsabilità effettuata dal perito d’ufficio nominato nel corso del procedimento penale.
In questo caso però appare evidente come la censura non verta tanto sulla violazione della norma indicata, quanto piuttosto sulla presunta omessa considerazione da parte del Giudice di merito di risultanze istruttorie “decisive”, che avrebbero condotto ad un diverso accertamento in concreto della responsabilità.

Ma qual è la soluzione che offrono gli Ermellini?

Ebbene, secondo i Supremi giudici, in questo caso, la norma, avrebbe dovuto invece 1) “essere censurata in relazione al differente vizio di legittimità per errore di fatto, deducibile esclusivamente in relazione a quelle ipotesi di carenza del requisito motivazionale, valutato in relazione al contenuto minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, trovando applicazione ratione temporis l’art. 360, comma 1, n. 5 come modificato dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012 “ e 2) sostenendo che l’assenza dell’elemento soggettivo, accertata in sede penale, non escludeva, come emergeva dalla motivazione della sentenza penale, che “l’azione della conducente l’autoveicolo si pose come “conditio sine qua non dell’evento morte”…”, con la conseguenza che tanto era sufficiente ad integrare la presunzione di pari responsabilità della stessa.
Per la Corte di Cassazione la tesi dei ricorrenti è manifestamente infondata poiché assegna alla norma codicistica sulla presunzione legale in materia di responsabilità civile automobilistica la natura di responsabilità oggettiva.
Al contrario, la presunzione stabilita dal secondo comma dell’art. 2054 c.c. non configura a carico del conducente una ipotesi di responsabilità oggettiva, ma una responsabilità presunta da cui il medesimo può liberarsi esclusivamente dando la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, da intendersi nel senso di dover dimostrare l’impossibilità o la diligenza massima, e di avere osservato, nei limiti della normale diligenza, un comportamento esente da colpa e conforme alle regole del codice della strada, da valutarsi dal giudice con riferimento alle circostanze del caso concreto (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10031 del 29/04/2006).
Osservano ancora gli Ermellini che nel caso de quo la Corte territoriale non si è limitata ad affermare la esclusiva responsabilità del sinistro in base soltanto alla condotta tenuta dal motociclista, ma ha ritenuto di escludere anche la colpa generica della conducente l’autovettura, valutando in concreto la condotta tenuta dall’automobilista stessa, che ha desunto da molteplici elementi indiziari ossia: a) l’assenza di infrazioni alle norme del Codice della strada imputabili alla conducente l’autoveicolo, b) il fatto che l’auto percorreva la strada sul margine destro per quanto consentito dalle vetture parcheggiate sulla carreggiata, c) il luogo della strada in cui è avveniva il sinistro, d) il punto di collisione tra i veicoli e e) la modesta velocità di marcia dell’autovettura.
Ebbene tale accertamento in fatto non è stato, secondo gli Ermellini, idoneamente censurato dai ricorrenti e tali motivazioni hanno condotto al rigettato il ricorso.
 

Avv. Maria Teresa De Luca

 
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