La Corte di Cassazione penale precisa quale siano le circostanze per la sussistenza del reato di diffamazione

Quali sono le circostanze che determinano il reato di diffamazione? Lo precisa la Corte di Cassazione penale con la sentenza n. 39763 del 31 agosto 2017.
La Corte si è espressa su un caso giudicato dal Tribunale di Agrigento che aveva assolto un imputato dal reato di diffamazione, per “insussistenza del fatto”. Decisione confermata poi dalla Corte d’appello di Palermo.

Il caso

L’imputato è stato accusato del reato di diffamazione dalle strette familiari di uno zio defunto. Secondo le signore l’uomo è reo di aver pubblicato sulla sua pagina Facebook un messaggio offensivo della loro reputazione.
Il messaggio era “del seguente tenore: ‘Un grande ciao allo zio Ca.Pi. che se ne è andato nel silenzio più assordante, grazie a persone disturbate mentalmente non si può morire con dignità. Riflettiamo gente….’”.
Le signore costituitesi parti civile nel processo penale hanno chiesto di essere risarcite del danno subito.
Il tribunale di Agrigento ha rigettato la domanda di risarcimento delle parti civili che si sono così rivolte alla Corte d’Appello, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.
Per le ricorrenti le frasi contenute nel messaggio avevano un chiaro intento diffamatorio nei loro confronti, non evidenziato nel primo grado di giudizio.

La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato il parere della Corte d’appello rigettando il ricorso proposto, in quanto infondato.
Il reato di diffamazione subentra infatti solo quando la persona cui è diretta l’offesa sia determinata, pur non essendo necessario che “sia menzionata nominativamente”.
La Cassazione precisa inoltre che non si può parlare di reato di diffamazione quando “l’atteggiamento descritto e che si ritiene diffamatorio sia riferibile non ad un determinato soggetto, ma ad una generica pluralità di soggetti, non identificabili né individuabili specificamente”.
Nel caso in esame tale circostanza non si è verificata in quanto l’uomo accusato ha ammesso che “il bersaglio dell’offesa a cui egli aveva mirato” non erano le ricorrenti ma coloro che avevano genericamente criticato e chiacchierato in ordine alla vicenda.
La Cassazione ha quindi confermato integralmente la sentenza impugnata e ha condannato le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 
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