Nei prossimi 5 anni potrebbero mancare all’appello duemila professionisti, con un serio pericolo di riduzione dei reparti pediatrici e di chiusura di numerosi punti nascita

“Senza un’adeguata programmazione e i necessari correttivi, nei prossimi 5 anni, negli ospedali italiani, mancheranno all’appello 2.000 pediatri. Con il rischio di fare un passo indietro sull’assistenza ai più piccoli. Potrebbero chiudere 200 punti nascita, quasi 10 per Regione. O, peggio, queste strutture potrebbero essere costrette a lavorare con minori garanzie di sicurezza. E si rischia, in generale, una riduzione dei reparti pediatrici”.  

E’ l’allarme lanciato da Flavio Civitelli, coordinatore della Commissione nazionale pediatria dell’Anaao Assomed, che sottolinea come i tempi per correggere il tiro siano ormai alla scadenza. Tra meno di un quinquennio, infatti,  la ‘gobba’ pensionistica porterà all’uscita di un numero elevato di specialisti che non potrà essere sostituito se i nuovi pediatri non saranno ancora stati formati.

A questa ‘emorragia’ annunciata si devono poi aggiungere i medici che anticiperanno, con quota 100, il pensionamento.

“Per la pediatria, dal nostro osservatorio, non sono molti – spiega all’Adnkronos Salute Civitelli -. Percentualmente sono poco rilevanti, ma in una situazione di carenza anche poche unità possono avere un impatto concreto sui servizi”. Anche perché “la tentazione di uscire dall’ospedale, a fronte di turni massacranti, sotto organico e in situazione continua di stress, è forte”.

Per quanto riguarda i punti nascita la legge impone, per garantire le condizioni di sicurezza, la presenza di un pediatra 24 ore su 24. “Con un numero limitato di specialisti – sottolinea il medico – questo criterio sarà difficile da applicare. E molti punti nascita, circa 200 secondo le nostre stime, saranno a rischio chiusura. O peggio, nel caso di riduzione dell’assistenza pediatrica notturna o di una deroga sulla presenza costante del pediatra, si metterebbe a rischio la sicurezza dei piccoli.

“Il nostro Paese, negli anni, ha raggiunto un’elevatissima qualità di assistenza pediatrica: per la mortalità infantile siamo secondi solo ai Paesi scandinavi. Non possiamo tornare indietro”.

Oltre alla chiusura dei punti nascita una drastica riduzione dei pediatri ospedalieri potrebbe portare anche alla chiusura dei reparti di pediatria. “Questo – aggiunge ancora Civitelli – potrebbe significare una sensibile riduzione dell’assistenza pediatrica e, in alcuni casi, anche ricoveri di bambini e ragazzi in reparti per adulti. Il tutto “contro le indicazioni della ‘Carta internazionale dei diritti del bambino’ secondo la quale ai piccoli deve essere garantito uno spazio dedicato nelle strutture di cura”.

La politica, dunque, “deve prendere atto del problema e tornare a programmare”.

Se consideriamo solo i numeri, in realtà, l’Italia non si distanzia dagli altri Paesi. “I dati Eurostat 2016 – evidenzia il rappresentante dell’Anaao – indicano la presenza di pediatri con un tasso di 28,34 per 100.000 abitanti. Un tasso simile a quello medio europeo. La differenza, però, sta nel fatto che solo in Italia siano previsti i pediatri di libera scelta, fatto che riduce notevolmente il numero di specialisti in ambito ospedaliero”. In ospedale i pediatri italiani sono, quindi, in numero assai inferiore alla media europea e – conclude Civitelli – “rappresentano la specialità tra le più colpite dalle carenze di medici specialisti”.

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