Non può derivare la responsabilità risarcitoria della P.A. quando il comportamento del danneggiato (nella specie un ciclista) non sia stato conforme al canone di ordinaria diligenza ed attenzione nell’utilizzo della strada pubblica e nella circolazione

La responsabilità della P.A.

Sussiste in capo alla Pubblica Amministrazione la responsabilità, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri causati dalla particolare conformazione della strada o delle sue pertinenze (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3793 del 2014), poiché, secondo quanto stabilito dall’art. 14 D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito deve – salvo che nell’ipotesi di concessione prevista dal comma 3 della predetta norma – provvedere:

a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi;

b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e delle relative pertinenze;

c) all’apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta.

Invero, la giurisprudenza della Suprema Corte da tempo, ha iniziato a ritenere concettualmente ed astrattamente configurabile, nei confronti della PA., la responsabilità per danni da cose in custodia  relativamente ai danneggiamenti subiti – come nel caso di specie – a seguito dell’utilizzo di strade pubbliche.

Il caso fortuito

Per andare esente da responsabilità, la PA deve provare, con lo sforzo diligente adeguato alla natura delle cose e alle circostanze del caso, di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale – strada presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto ed arrechi danno, al fine di far valere la propria mancanza di colpa.

Tale responsabilità può essere, pertanto, esclusa dal caso fortuito, consistente nell’alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile ai conducenti neppure con l’uso dell’ordinaria diligenza. Altresì, il caso fortuito può ravvisarsi anche nella condotta della stessa vittima, consistita nell’omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe e che, mediante l’impropria utilizzazione del bene pubblico, abbia determinato l’interruzione del nesso causale tra lo stesso bene in custodia e il danno (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3793 del 2014).

Pertanto, in caso di sinistro a seguito di non corretta manutenzione del manto stradale da parte dell’ente preposto alla tutela, la responsabilità gravante sulla P.A., ai sensi dell’art. 2051 c.c., per l’obbligo di custodia delle strade demaniali è esclusa ove l’utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 999 del 20/01/2014), dovendosi altrimenti ritenere, ai sensi dell’art. 1227 comma 1 c.c., che tale comportamento integri soltanto un concorso di colpa idoneo a diminuire, in proporzione dell’incidenza causale, la responsabilità della P.A. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9546 del 22/04/2010).

La ricostruzione del sinistro

Nel caso in esame, l’istruttoria espletata aveva permesso di accertare come il danneggiato, il giorno dell’incidente, stesse percorrendo in sella alla propria bici da corsa, un tratto in discesa di una strada provinciale, allorquando completata una curva, nell’attraversare un tratto di strada non asfaltato con fondo sassoso, perdeva l’equilibrio, per poi cadere a terra.

Le prove raccolte in giudizio hanno, tuttavia, indotto l’adito Tribunale di Massa (sentenza n. 181/2020) a ritenere che il comportamento dell’attore non fosse stato in concreto conformato al canone di ordinaria diligenza ed attenzione nell’utilizzo della strada pubblica e nella circolazione.

Il tratto di strada non asfaltato e con fondo sassoso nel quale l’attore era caduto costituiva irregolarità ben evidente e prevedibile nella circostanza concreta, tale da renderne presuntivamente possibile la percezione anticipata anche ad una certa distanza. Ciò, soprattutto, per le caratteristiche morfologiche di quel tratto di strada, in quanto 1) vi era una adeguata segnaletica stradale, in particolare segnale di pericolo per “strada deformata”; 2) l’ultima curva impegnata dall’attore aveva un ampio raggio (non si trattava, dunque, di una curva a gomito per esempio, tanto che il capo cantoniere l’ha definita una “semicurva”) tale da permettere una buona visuale sul prosieguo del percorso; 3) vi era una interruzione nella planarità della superficie, rispetto all’asfalto.

I due cartelli di “pericolo”

Nella specie, era emerso come si trattasse di un tratto di strada molto impervio, con pendenza del 17%, sterrata nei soli 30-40 metri in cui era avvenuto il sinistro, lungo la quale erano stati apposti due cartelli amovibili: uno relativo alla limitazione della velocità a 30 Km/h, posto all’inizio del tratto non asfaltato; l’altro di pericolo “strada deformata”, posto circa 50 m. prima della parte non asfaltata, all’inizio di una semicurva che andava verso sinistra a scendere. Entrambi i cartelli erano presenti sui luoghi al momento del sinistro, diversamente da quanto sostenuto dal danneggiato.

“Questa evidente interruzione del tratto asfaltato – ha affermato il giudice toscano – era tale da introdurre una netta soluzione di continuità e dislivello nel manto percorribile, come tali ben visibili ed agevolmente percepibili con l’ordinaria diligenza ed attenzione. Ciò avrebbe dovuto indurre il ciclista normalmente accorto, a porre particolare attenzione nell’incedere in ragione di una situazione di evidente irregolarità del manto calpestabile, non tale da poter suscitare fondato affidamento di agevole percorribilità, e tale da comportare un prevedibile rischio di caduta.

La disattenzione del ciclista

L’affermazione di facile percepibilità del fondo stradale non asfaltato, presente sul luogo dell’evento, era stata peraltro confermata sia dal fatto che la caduta fosse occorsa intorno alle ore 10:00 del mattino, e perciò in un momento della giornata (mattina di agosto) in cui vi era una buona illuminazione data dalla luce naturale; sia dalla circostanza della presenza dei due segnali stradali, uno volto a segnalare proprio il pericolo di strada deformata, e l’altro a indicare la velocità massima consentita”. Insomma, la conformazione dei luoghi era ben visibile anche a distanza non del tutto contenuta.

In tema di danno causato da cose in custodia si è detto che costituisce circostanza idonea ad interrompere il nesso causale e, di conseguenza, ad escludere la responsabilità del custode di cui all’art. 2051 c.c., il fatto della vittima la quale, non prestando attenzione al proprio incedere, in un luogo normalmente illuminato, inciampi in un ostacolo pienamente visibile, riconducendosi in tal caso la determinazione dell’evento dannoso ad una sua esclusiva condotta colposa configurante un idoneo caso fortuito escludente la suddetta responsabilità del custode (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 993 del 16/01/2009 ). È stato, inoltre, precisato che il grado di diligenza che è preteso dall’utente della strada è direttamente proporzionale all’evidenza ed all’entità delle sconnessioni o dei dissesti percepibili, e che quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesima nel dinamismo causale del danno, sino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6425 del 2015).

La decisione

Nel caso in esame, se è vero che l’evento si era prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, originariamente posseduta, o successivamente assunta, dalla cosa considerata nella sua globalità, doveva, tuttavia, ritenersi integrato l’elemento del caso fortuito, sussistendo l’interruzione del nesso causale tra la causa del danno e il danno stesso, da ravvisarsi nella condotta della stessa vittima, consistita nell’omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe, come sopra descritte, per essersi posto il comportamento sopravvenuto dello stesso danneggiato come unica ed esclusiva causa dell’evento di danno, sì da privare dell’efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell’autore dell’illecito. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4308 del 26/03/2002); Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 30775 del 22/12/2017).

Per queste ragioni, la domanda attorea è stata respinta.

Avv. Sabrina Caporale

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