Oltre allo scorretto adempimento dell’attività professionale il cliente ha l’onere di dimostrare il nesso causale tra la condotta omissiva e la determinazione del danno subito

Un avvocato era stato incaricato di redigere un parere scritto in merito al credito vantato da un società a responsabilità limitata in fallimento nei confronti di una compagnia assicuratrice. Tuttavia, nonostante vari solleciti il parere non era stato depositato e il credito, dopo un anno dall’atto di interruzione posto in essere dalla curatela fallimentare, era caduto in prescrizione.
Il Curatore aveva quindi chiamato in giudizio il legale sostenendo che la sua condotta configurava un’ipotesi di negligenza professionale da considerare causa diretta della perdita dell’indennizzo. L’avvocato, da parte sua, eccepiva di avere ricevuto l’incarico di formulare un mero parere sull’opportunità di agire in giudizio contro la compagnia di assicurazioni, senza poter assumere alcuna iniziativa di tipo sostanziale, come l’interruzione della prescrizione; inoltre, lamentava di non aver potuto redigere il parere in quanto il Curatore dell’epoca non gli aveva fornito le condizioni generali della polizza.
Il Tribunale di Vicenza, nella sentenza n. 2092/2016, ha rigettato la richiesta di risarcimento avanzata dal Curatore. Il giudice ha appurato che il decreto di nomina dimostrava che l’avvocato era stato investito del ruolo della legale procedura oltre che del compito di agire in giudizio contro la società debitrice e che in questa sua veste avrebbe dovuto porsi, anche al di là dell’obbligo di redazione di un parere scritto, “il problema della interruzione della prescrizione del diritto a tutela del quale egli era stato nominato” in quanto tale accortezza rientrava, senza ombra di dubbio, nell’obbligo di diligenza insito nella richiesta valutazione dell’opportunità di agire in giudizio.
Tuttavia per il Tribunale l’inadempienza rispetto all’incarico affidatogli non era sufficiente a sancire automaticamente l’obbligo di risarcimento; a tal fine era infatti necessario acquisire anche la prova dell’esistenza del nesso di causa fra la condotta omissiva e la determinazione del danno consistente, ovvero, nel caso in esame, nella perdita del credito. La dimostrazione del nesso di causa, infatti, è un onere che spetta a chi domanda il risarcimento.
In tal senso si è espressa anche la Corte di Cassazione con la sentenza n.1984/2016, richiamata dal Tribunale vicentino. Secondo gli Ermellini, “la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone”.

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