Sempre dalla newsletter della FAMLI una sentenza della Cassazione che si ritiene errata a motivo di una responsabilità medico legale

Si tiene a premettere che per responsabilità medico legale si vuole intendere “inidonea” deduzione medico legale capace di influenzare il ragionamento dei Giudici.

E’ il caso di un medico di base che si rifiuta di visitare un proprio paziente il quale muore a distanza di giorni di aneurisma cerebrale.

Ecco quanto riportato nella newsletter della FAMLI:

Il caso riguarda un medico di famiglia che si era rifiutato di visitare un paziente trentenne che accusava forte mal di testa, dolori al collo e fotofobia, nonostante le ripetute richieste della madre del ragazzo. Per il medico il quadro sintomatologico era quello di un comune mal di testa e, certificata la ricorrenza di una sindrome grippale, aveva prescritto al paziente inizialmente una terapia a base di aspirina e, successivamente, l’assunzione di novalgina. A distanza di qualche giorno, però, l’uomo era deceduto per la rottura di un piccolo aneurisma subaracnoideo, come accertato dall’esame autoptico.

Portato davanti ai giudici, il medico era stato condannato dal Tribunale penale per rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p.), in quanto era stato accertato il reiterato rifiuto di visita domiciliare, ma assolto, con formula piena, dal reato di omicidio colposo, di cui all’art. 589 c.p..


Anche la Corte penale di Appello, cui si erano rivolti il Pubblico ministero, l’imputato e la parte civile, dichiarava di non doversi procedere nei confronti del medico per estinzione del reato di rifiuto di atti d’ufficio per intervenuta prescrizione e confermava le restanti conclusioni. Per quanto riguarda il ricorso della parte civile, ai soli effetti dell’art. 576 c.p. e con riferimento alla conferma della sentenza di assoluzione in primo grado dal reato di omicidio colposo, la Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 25992/13, ha dichiarato la nullità della sentenza impugnata per la nullità della perizia su cui essa si era fondata, e rinviato, ex art. 622 c.p.p., al giudice civile competente in grado di appello la valutazione dell’eventuale ricorrenza di responsabilità dell’imputato nei confronti della parte civile.

La Corte di Appello ha però rigettato il ricorso che veniva così proposto in Cassazione.

Nella sua sentenza la Cassazione ha richiamato anzitutto la relazione della CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio) ed evidenziato:

a) il decesso era stato causato da una ripresa del sanguinamento il giorno del decesso;

b) l’aneurisma era di piccole dimensioni e non trattabile;

c) anche se il medico avesse tempestivamente eseguito la visita domiciliare, sulla scorta del criterio del più probabile che non, non avrebbe indirizzato immediatamente a cure specialistiche il paziente, a fronte di un quadro sintomatologico non immediatamente suggestivo per ESA e facilmente interpretabile per manifestazione di altra tipologia;

d) quand’anche ciò fosse avvenuto, l’esame TC avrebbe forse consentito di apprezzare anche il minimo sanguinamento in atto e avviato il paziente a un esame di angio TC che solo nel 60% dei casi avrebbe individuato la causa del sanguinamento;

e) pur individuato l’aneurisma sanguinante, non sarebbe stato possibile intervenire sull’origine del sanguinamento.

In pratica, per i giudici, la visita domiciliare tempestiva del medico avrebbe aumentato le probabilità di diagnosticare l’aneurisma (60% di possibilità). Ma una volta individuato, secondo la CTU, il trattamento chirurgico per rimuoverlo sarebbe stato difficoltoso, se non impossibile.

Inoltre per la Corte territoriale, data la mai contestata percentuale del 60% di possibilità di individuazione dell’aneurisma – per il restante 40% l’aneurisma non avrebbe potuto essere individuato neppure in caso di corretto comportamento da parte del medico i base – il tasso di percentuale di sopravvivenza del paziente era complessivamente del 42% (cioè il 70% del residuo 60%) contro il 58% di probabilità di esito infausto. Sulla scorta del criterio del più probabile che non, ritenne, quindi, esclusa l’esistenza di un nesso causale tra la condotta del medico di base e il decesso del paziente.

Secondo la Cassazione “il ragionamento della Corte di merito non merita censure: ha applicato la regola probatoria che governa la ricostruzione del nesso causale nel processo civile, la quale – secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità – è quella della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non”.

L’ordinanza prosegue spiegando che “in materia di responsabilità sanitaria, atteso che la consulenza tecnica è di norma consulenza percipiente a causa delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie, non solo per la comprensione dei fatti, ma per la rilevabilità stessa dei fatti, i quali, anche solo per essere individuati, necessitano di specifiche cognizioni e/o strumentazioni tecniche e che, proprio gli accertamenti in sede di consulenza, offrono al giudice il quadro dei fattori causali entro il quale far operare la regola probatoria della certezza probabilistica per la ricostruzione del nesso causale, ne consegue che, dato che la consulenza ha concluso per la esclusione del nesso causale ragionando in termini ‘del più probabile (che non)’, il giudice ha applicato correttamente il criterio della regolarità causale e della certezza probabilistica là dove ha affermato che la condotta del medico di base non è stata la causa del decesso del paziente”.

Quindi secondo la Cassazione “non è possibile reputare che l’inadempimento del medico di base, consistito nelle omesse visite domiciliari, abbia causato la morte del paziente, risultando, al contrario, ‘più probabile che non’ che la rottura dell’aneurisma ne avrebbe comunque determinato il decesso. In definitiva, non era possibile affermare, in termini di probabilità logica, che in caso di visita tempestiva il paziente avrebbe avuto ragionevoli probabilità di guarigione”.

La Cassazione prosegue sottolineando che Il giudice ha, dunque, compiuto il giudizio controfattuale, ha ritenuto che l’inadempimento del sanitario non è stato causa del decesso perché “anche, eliminato mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti — sulla base di una successione regolare conforme ad una legge statistica — l’evento si sarebbe nel 58% dei casi comunque verificato”.

“Il giudice – spiega l’ordinanza –  perviene a determinare la percentuale del 58% di possibilità di esito infausto sulla base dell’adeguamento della probabilità statistica al caso concreto: tenuto conto delle dimensioni dell’aneurisma, non bastava astrattamente prevedere che un tempestivo ricovero ospedaliero, onde effettuare approfonditi esami diagnostici, avrebbe permesso con probabilità pari al 60% di individuarne la presenza, ma occorreva altresì tener conto della trattabilità dello stesso con esito fausto, attestantesi sul 70% di probabilità. Il decorso causale ipotetico non poteva non essere valutato tenendo conto delle specificità del caso concreto. La concretizzazione del giudizio di causalità implicava che si tenesse conto anche dell’inferenza negativa di ulteriori elementi – la percentuale di insuccesso di un intervento chirurgico o terapeutico pur tempestivo – incidente sulla diagnosticabilità dell’aneurisma e quindi sulla complessiva efficacia impeditiva della visita domiciliare astrattamente considerata”.

E la Cassazione entra nel merito anche della prescrizione del medico di base: “Quanto alla censura di omesso esame dell’incidenza causale della prescrizione dell’aspirina, controindicata per l’effetto fluidificante, e della giovane età e delle condizioni di salute della vittima prima del decesso, oltre a non averne dimostrato la decisività, il ricorrente non ha dato prova che avessero costituito oggetto di discussione tra le parti. … Il ricorrente non può limitarsi a denunciare l’omesso esame di elementi decisivi, ma anche il ‘come’ e il ‘quando’ essi siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti e la loro decisività, cioè la loro attitudine a fornire un contributo decisivo nell’accertamento della verità storica dei fatti di causa”.

Quindi per la Cassazione “il ricorso va dichiarato inammissibile”.”.

In sintesi, i punti centrali di tale amara faccenda sono i seguenti:

  • Esiste errore medico omissivo
  • Esiste la possibilità di diagnosticare la patologia aneurismatica al 60%
  • Esiste la possibilità di guarire il soggetto con un intervento chirurgico al 70%
  • I magistrati negano il nesso causale in quanto il sovrapporsi delle suddette % di successo scende al 42% (il 70% del 60%), quindi non è verificata la regola civilistica del “più probabile che non”.

Secondo lo scrivente questo ragionamento, nato dalla iniziale deduzione del ctu medico legale, è basato sulla parte “folle” della teoria matematica!

Perché?

Ci sono due aspetti da verificare attentamente:

  1. Si poteva fare diagnosi della patologia aneurismatica con probabilità statistiche del 60%. Ciò significa che è superata la regola civilistica del “più probabile che non” e ciò va dato per scontato e attiene alla diagnosi. Superato tale scoglio probabilistico il fatto è dato per certo;
  2. Fatta la diagnosi il paziente andava portato sul letto operatorio in mano ad uno specialista che, conscio dell’anatomia della patologia, doveva intervenire per curare l’aneurisma. La statistica del 70% (priva delle motivazioni attinenti al caso specifico) significa che l’intervento sarebbe riuscito e il paziente sarebbe sopravvissuto.

Queste due aspetti fanno riflettere su come due step diversi si siano sovrapposti in maniera “riduzionistica” e hanno annullato la certezza civilistica di entrambi gli “step” causali “certi” civilisticamente.

Il tutto nasce da una grave negligenza e imprudenza di un medico curante “pigro” che ha eliminato le probabilità di sopravvivenza del proprio paziente. Un errore che non può rimanere impunito per teorie numeriche non valutate nel caso specifico. E questo proprio perché il nesso di causalità “non è un fatto materiale, ma un giudizio” e le percentuali statistiche non sono un giudizio logico.

Anche se si considera tale ragionamento “umanistico” e non giuridico, consideriamo l’aspetto del nesso di causalità, rifacendosi alla sentenza Rossetti n. 4024/2018 che specifica come:

  1. ““Il nesso di causa tra un condotta illecita e un danno può essere affermato non solo quando il secondo sia stato una conseguenza certa della prima, ma anche quando ne sia stato una conseguenza ragionevolmente probabile.
  2. La ragionevole probabilità che quella causa abbia provocato quel danno va intesa non in senso statistico, ma logico: cioè non in base a regole astratte, ma in base alle circostanze del caso concreto.
  3. Ciò vuol dire che anche in una causa statisticamente improbabile può ravvisarsi la genesi del danno, se tutte le altre possibili cause fossero ancor più improbabili, e non siano concepibili altre possibili cause.
  4. Così, ad esempio, se il crollo di un immobile potesse astrattamente essere ascritto solo a sette possibili cause, tra loro alternative, una delle quali probabile al 40%, e le altre sei al 10%, la prima dovrebbe ritenersi “causa” del crollo, a nulla rilevando che le sue probabilità statistiche di avveramento fossero inferiori al 50%, e quindi “improbabili” per la sola statistica.”.

Secondo lo scrivente tali conclusioni rappresentano una “colatura d’oro” della razionalità e del diritto.

Ritorniamo al nostro caso concreto.

Abbiamo visto che se il medico curante avesse fatto ciò che la best practice medica consigliava, avrebbe messo il paziente nelle condizioni di diagnosticare la patologia aneurismatica al 60%. Quindi esistono un nesso di causa al 60% (statistico) e una concausa negativa al 40%.

Abbiamo visto come se effettuata la diagnosi l’intervento chirurgico avrebbe risolto la patologia nel 70% dei casi. Anche qui esistono due facce della medaglia: una causa statistica al 70% e una concausa negativa al 30%.

Se consideriamo fattori eziologici il 70%, il 60%, il 40% e il 30% (anche se desunte da fatti statistici contrapposti ma che attengono a due step clinici diversi, ossia una alla diagnosi e uno alla terapia) le probabilità logiche sono a favore del 60% da un lato e del 70% dall’altro.

E fare un calcolo statistico materiale puramente matematico e riduzionistico si va contro non solo alla logica umana, ma anche al criterio giuridico che afferma che a seguito di un fatto illecito deve seguire un risarcimento anche se ridotto in termini di perdita di chance (nel caso del puro calcolo matematico del 42%).

Infine ci sono punti da attenzionare, che sono più due consigli che altro:

  • Non ci si deve costituire parte civile in penale;
  • Deve essere sempre fatta, in sede civile, la domanda di perdita di chance

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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