Il tema della responsabilità medica è sempre al centro di ogni dibattito o convengo tra medici e operatori del settore. I medici hanno svolto un ruolo amministrativo che non gli compete e che nel tempo continuerà a sottrarre energie alla loro missione che è esclusivamente quella di «prendersi cura» del paziente.
E’ sempre più necessario formare figure professionali con compiti esclusivamente amministrativi che affianchino il medico nello svolgimento della attività professionale. La commistione di ruoli e competenze ingenera errori con ricadute su tutti. In primo luogo sul paziente e poi, a cascata sulla struttura ospedaliera e sui vari componenti dell’equipe medica. Ciascuno va incontro a responsabilità più o meno diretta che legittima le richieste risarcitorie dei danneggiati. Altro discorso è poi il c.d. filone risarcitorio della «malasanità» che rappresenta la stortura di quella parte della società che genera il malaffare da ogni diritto.
Nei confronti di questo problema, già da tempo denunciato, l’orientamento più recente è quello di arginare il fenomeno attraverso il miglior bilanciamento tra le parti (paziente e medico) dell’onere della prova, gravando maggiormente il paziente. In questo ampio scenario le compagnie di assicurazione hanno un ruolo centrale tenuto conto della partecipazione come chiamati in causa (garanzia) nei giudizi risarcitori (sul punto si auspica una modifica con introduzione di azione diretta da parte del paziente danneggiato).
Le Aziende Ospedaliere, i medici, l’equipe, i lavoratori socio sanitari, così come gli altri dipendenti, sono ormai coperti da polizza assicurativa per il rischio connesso alla specifica attività lavorativa. Da tempo i contratti di assicurazione prevedono anche una apposita clausola che copre i terzi dai danni causati tanto dall’ASP, quanto dai suoi dipendenti. Sul punto la giurisprudenza afferma che: “è legittima una clausola apposta a un contratto di assicurazione che copre i terzi dai danni causati dall’ASP e dai suoi dipendenti. Infatti l’Azienda, in quanto datrice di lavoro, è comunque responsabile nei confronti dei terzi per il fatto dei propri dipendenti e commessi, ex art. 1228 e 2049 c.c.” (Trib. Roma, sez. XII, 2 marzo 2005).
Questo orientamento ormai consolidato è stato di recente ribadito dalla Cassazione: “L’Asl è responsabile civilmente, ai sensi dell’art. 1228 c.c., del fatto illecito che il medico, con essa convenzionato per l’assistenza medico-generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione curativa, ove resa nei limiti in cui la stessa è assicurata e garantita dal S.s.n. in base ai livelli stabiliti secondo legge (nella specie un medico di base, a fronte della segnalazione della moglie di un suo assistito che lo stesso presentava sintomi di ischemia cerebrale, era intervenuto con estremo ritardo e, non rendendosi conto elle effettive gravi condizioni del paziente, ne aveva omesso l’ospedalizzazione urgente, causandone la paralisi permanente di parte del corpo). (Cassazione civile, sez. III, 27/03/2015, n. 6243)
In merito alla suddivisione delle responsabilità durante un intervento chirurgico si è ampiamente dibattuto. Dei danni conseguiti ad intervento chirurgico, è responsabile l’intera équipe (chirurgo, assistente, ferrista, etc.): «il chirurgo è responsabile per violazione degli obblighi di diligenza professionale, a nulla rilevando la domanda di regresso verso la Asl, attuale datrice di lavoro, in quanto per i debiti delle disciolte Usl risponde soltanto la Regione, non ha neppure rilievo la chiamata in causa della Regione, quale successore della disciolta Usl. Infatti posto che il datore o il committente sono responsabili verso i terzi per i danni arrecati dai propri dipendenti, certamente non sono tenuti a rivalere il dipendente per quanto causato al terzo danneggiato a titolo di risarcimento. L’assistente è responsabile in quanto ogni membro di équipe non è esonerato dal controllo e dalla vigilanza in particolare quando si verifichino circostanze che lascino temere contegni altrui non conformi a perizia e diligenza che annullino l’aspettativa di un comportamento corretto, ovvero qualora tra i compiti specifici spettanti ad alcuno tra i membri del gruppo, rientri proprio quello di sorveglianza e di controllo dell’operato altrui. Il ferrista è responsabile per omissione di prudenza dettata dalle “leges artis”» (Trib. Roma 10 marzo 2004, Redazione Giuffrè, 2005).
Altra sentenza in merito (Responsabilità medica – Lavoro di équipe – Responsabilità dei componenti -Esclusione – Limiti) ma più recente afferma che: “In base al cd. “principio di affidamento”, ogni soggetto componente l’equipe medica non dovrà ritenersi obbligato a delineare il proprio comportamento ingiunzione del rischio di condotte colpose altrui, ma potrà sempre fare affidamento sul fatto che gli altri soggetti agiscano nell’osservanza delle regole di diligenza proprie, salvo il dovere di sorveglianza di chi riveste la posizione apicale all’interno del gruppo. Laddove, però, la colpa attenga all’inosservanza di obblighi comuni o indivisi tra i vari operatori, permane l’obbligo per i vari componenti dell’equipe di attivarsi per integrare o correggere l’operato altrui, in caso di necessità. (Tribunale Bari, sez. II, 16/04/2012, n. 1310)
Vari aspetti riguardanti la responsabilità del personale medico sono stati oggetto di alcune pronunzie importanti, ad esempio per:
– i danni subiti da una paziente minorenne, affetta da schizofrenia, favoriti da un’allocazione inidonea del reparto: “la struttura sanitaria, pubblica o privata, risponde dei danni subiti da una paziente minorenne affetta da schizofrenia la quale, favorita da un’allocazione inidonea del reparto, e da una dimenticanza del personale, si lanci nel vuoto in preda a stato delirante, trovando la morte” (Trib. Monza 22 ottobre 2001)
– in una fattispecie di invalidità, riportata in conseguenza di un tentativo di suicidio, in assenza di personale ospedaliero, da parte di una paziente ricoverata per malattia mentale, con la consegna di continua sorveglianza: “ai fini della responsabilità di una Usl per lesioni riportate per omissione di vigilanza da un paziente durante il ricovero ospedaliero è irrilevante il carattere volontario ed obbligatorio del trattamento sanitario praticato in concreto, non potendo quest’ultimo condizionare l’obbligo di sorveglianza da parte del medico e del personale sanitario, basato sulla stessa diagnosi dei sanitari, sulle precise prescrizioni affidate al personale infermieristico e sulla loro mancata osservanza” (Cass. civ., sez. I, 10 novembre 1997, n. 11038).
– “l’esecuzione di un intervento medico senza il consenso della paziente e senza una preventiva informazione in merito ai rischi integra un fatto illecito che lede sia il diritto all’autodeterminazione che quello alla salute. Dell’illecito rispondono il personale medico che lo ha eseguito e l’ente presso cui quest’ultimo opera, rispettivamente ai sensi degli art. 2043 e 2049 c.c.” (Trib. Milano 14 maggio 1998).
Ulteriore argomento interessante è quello del diritto di rivalsa qualora un ente ospedaliero (ovvero un’ Unità sanitaria locale, dopo l’attuazione della l. 23 dicembre 1978 n. 833 istitutiva del servizio sanitario nazionale) venga condannato al risarcimento del danno subito da un assistito, per fatto colposo del proprio dipendente (nella specie, lesioni personali provocate da un medico nell’esecuzione di un intervento), e poi agisca in rivalsa nei confronti del dipendente medesimo, in tal caso “la relativa controversia spetta alla cognizione della Corte dei conti, atteso che la giurisdizione contabile di tale corte, secondo la previsione dell’art. 52 del r.d. 12 luglio 1934 n. 1214 e dell’art. 103 cost., non si riferisce ai soli fatti inerenti al maneggio di denaro, ma si estende ad ogni ipotesi di responsabilità per pregiudizi economici arrecati allo Stato o ad enti pubblici da persone legate da vincoli di impiego o di servizio ed in conseguenza di violazione degli obblighi inerenti a detti rapporti” (Cass. civ., Sez. Unite., 15 luglio 1988, n. 4634).
Avv. Fabrizio Cristadoro
Nel frattempo fioccano falsi terapeuti e i controlli stentano a decollare.