In tema di responsabilità professionale dell’avvocato spetta al cliente la prova del pregiudizio sofferto e la dimostrazione, in termini necessariamente probabilistici, dell’esistenza di un nesso di causalità tra l’inosservanza degli obblighi contrattuali e il danno sofferto

La vicenda

Un cliente aveva chiesto la condanna del proprio avvocato al risarcimento dei danni da esso subiti, a causa della responsabilità professionale di quest’ultimo per non esser comparso all’udienza in seno a un procedimento ex art. 658 c.p.c.  che si era concluso con l’emissione, da parte del Giudice, dell’ordinanza di convalida di sfratto.

L’avvocato aveva contestato in giudizio, il conferimento dell’incarico professionale per il procedimento rispetto al quale il cliente aveva lamentato la sua inadempienza, nonché l’an e il quantum della pretesa risarcitoria.

Ebbene, all’esito del giudizio, il Tribunale di Pisa (sentenza n. 330/2020) dinanzi al quale si è celebrato il processo ha rigettato la domanda attorea in quanto infondata.

Il giudice toscano ha ricordato che l’assetto degli oneri di allegazione e dei temi di prova, in tema di responsabilità professionale, risulta essere così articolato: al cliente competono la prova dell’incarico conferito al professionista; l’allegazione dell’inosservanza degli obblighi che originano dalla relazione contrattuale; la prova del pregiudizio sofferto; la dimostrazione, in termini necessariamente probabilistici, dell’esistenza di un nesso di causalità tra l’inosservanza degli obblighi contrattuali e il danno sofferto; sul professionista incombe, invece, la prova di avere adempiuto correttamente le obbligazioni derivanti dall’incarico professionale, secondo i criteri sopra esposti.

In particolare, ai sensi degli artt. 1176, comma II, e 2236 c.c. colui che esercita un’attività professionale di carattere intellettuale deve informare la propria condotta allo standard di diligenza corrispondente alla natura dell’attività esercitata.

La responsabilità professionale dell’avvocato

Per gli avvocati, l’obbligo di diligenza qualificata – quale criterio determinativo, unitamente al dovere di correttezza, del contenuto della prestazione – è stato declinato nel diritto vivente in un ampio spettro di attività esigibili dal professionista, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, che ricomprendono non solo il tempestivo e sollecito compimento degli atti processuali e stragiudiziali necessari, ma anche i doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto il patrocinatore a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; il dovere di richiedere al cliente gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole ( Cass. Sez. III, n. 7410/2017; Cass. Sez. III n. 10289/2015).

Orbene, nel caso in esame il ricorrente non aveva fornito prova degli elementi strutturali dell’evento di danno subito né della correlazione causale con la condotta del professionista.

In altri termini, non era emerso con sufficiente chiarezza il danno-evento all’origine della richiesta risarcitoria (danno conseguenza): il cliente aveva unicamente prodotto l’ordinanza di convalida dello sfratto, la quale, per quanto processualmente emerso non era stata portata ad esecuzione dal locatore per scelta del suo avvocato. Era rimasta, così, ignota, la sorte – di fatto – del rapporto di locazione, ed erano del pari sconosciuti i pregiudizi, patrimoniali e non, sul piano del diritto di godimento che l’attore avrebbe patito in conseguenza dell’ordinanza in questione.

La decisione

A ben vedere, inoltre, le doglianze attoree si erano concentrate sullo stato di choc, di grave turbamento susseguito alla notifica dell’ordinanza di sfratto. A fortiori, – ha affermato il Tribunale di Pisa – “pregiudizi siffatti avrebbero necessitato di circostanziate allegazioni sui tempi ed i modi in cui l’ordinanza di convalida avrebbe impattato sull’equilibrio psicofisico dell’attore, non potendosi ritenere – neppure in via presuntiva – che la sola notifica del provvedimento, per quanto astrattamente suscettibile di incidere sul diritto di quest’ultimo, ne avesse ex se sconvolto l’esistenza”.

Anche sul piano del danno-conseguenza, il giudice di primo grado ha riscontrato “una debolezza argomentativa e probatoria, posto che né la documentazione prodotta, né i capitoli di prova erano risultati idonei a provare la riconducibilità del pregiudizio biologico e morale subito secondo i criteri richiesti da consolidata giurisprudenza di legittimità (quantomeno a partire da Cass. SS.UU. 26972-5/2008).

Il Tribunale ha, pertanto, ritenuto superfluo esaminare la condotta dell’avvocato rispetto al paradigma comportamentale esposto, e, a monte, interrogarsi sull’effettiva portata del mandato professionale.

Avv. Sabrina Caporale

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