Pubblichiamo di seguito la relazione della prof. Patrizia Ziviz (Università di Trieste) dal titolo “Danni alla persona, sistema tabellare e discrezionalità del giudice” tenuta nell’ambito del convegno svoltosi lo scorso 5 febbraio sul medesimo tema

Le tabelle normative di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni private, inizialmente destinate a essere applicate nel campo dei sinistri stradali, sono state successivamente estese al settore della responsabilità dell’esercente di professioni sanitarie, secondo quanto previsto dall’art. 3 della c.d. legge Balduzzi (d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito in legge con modificazioni da l. 8 novembre 2012, n. 189): norma la quale afferma che “il danno biologico conseguente all’attività dell’esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, eventualmente integrate con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti all’attività di cui al presente articolo”.

Attraverso tali indicazioni si è così assicurato il governo di nuovi territori a un sistema valutativo molto discusso, in termini di legittimità costituzionale, e la cui completa attuazione rimane ancor oggi parzialmente sospesa, non essendo stata finora predisposta la tabella unica prevista per la valutazione del danno biologico relativo a lesioni di non lieve entità. Tale modello valutativo risulta, oltretutto, sottoposto attualmente ad una revisione – nell’ambito del ddl sulla concorrenza – che pare operare senza tener presente questo dato.

Sul tale tema, nell’ambito di un un Convegno, organizzato dalla Fondazione Cesifin Alberto Predieri e dall’Aida – Sezione Toscana in data 5 febbraio, la prof. Patrizia Ziviz ha presentato la seguente relazione.

Danni alla persona, sistema tabellare e discrezionalità del giudicePatrizia Ziviz (Università di Trieste)

1. L’estensione del sistema tabellare normativo al campo della responsabilità sanitaria

La riflessione cui sono chiamati i partecipanti a questa seconda parte dell’odierno incontro di studi riguarda il ruolo delle imprese assicuratrici nel perseguimento dell’obbiettivo sociale della sicurezza in sanità: obiettivo da perseguire approntando, come indica la presentazione di questo convegno, “coperture assicurative che riescano a consentire lo svolgimento delle professioni sanitarie con professionalità e senza lasciarsi coinvolgere da logiche di medicina difensiva”.

Il mio compito è quello di soffermarsi, in particolare, sulla scelta operata dal legislatore che – con lo scopo di garantire la predisposizione di idonee coperture assicurative per quanto riguardo il risarcimento del danno alla persona – ha imboccato la strada volta ad estendere, in ambito sanitario, il sistema di tabellazione previsto dal codice delle assicurazioni private, agli artt. 138-139, in materia di sinistri stradali. L’idea di base sembra, dunque quella incline a ritenere necessaria l’applicazione, in presenza di un sistema di assicurazione obbligatoria, di un modello di quantificazione del danno alla persona fondato su una tabellazione di carattere normativo. Tale modello risulta, inoltre, contraddistinto da una caratteristica saliente, riguardante la discrezionalità giudiziale: la stessa può essere esercitata in maniera vincolata, essendo previsto un tetto massimo da parte del legislatore.

Un’opzione del genere solleva tutta una serie di problemi: primo fra tutti quello riguardante la condivisibilità di una scelta volta a estendere un sistema di tabellazione pensato per il settore dei sinistri stradali ad un ambito non omogeneo. Le differenze tra i due campi appaiono assai rilevanti considerato che:

-non sussiste un parallelismo tra i due ambiti per il modo in cui viene assolto l’obbligo assicurativo, considerato che nel settore sanitario vengono praticati anche modelli di autoassicurazione;
-una diversità sostanziale riguarda il fatto che la circolazione stradale è fenomeno che non appare deputato a toccare la salute dei soggetti ad essa partecipi, se non nella malaugurata ipotesi in cui si verifichi un sinistro a danno della persona, mentre l’attività sanitaria coinvolge per definizione la salute del soggetto interessato;
-varia la tipologia di danni correlati ai due settori (basti osservare come un tema il quale appare centrale nell’ambito dei sinistri stradali – tanto da spingere il legislatore a dettare precise regole probatorie in proposito – quale il colpo di frusta, risulta del tutto estraneo all’area sanitaria, la quale a sua volta risulta connotata da danni peculiari);
-anche sul piano dei costi le dinamiche sono differenti, in quanto chi partecipa alla circolazione stradale può rivestire la parte di danneggiato come quella di danneggiante, trovandosi in quest’ultima veste gravato dei costi dei premi, mentre nella responsabilità sanitaria il costo dei premi non grava mai sulle vittime, le quali non possono quindi trarre alcun beneficio dalla relativa riduzione.

Il modello quantificatorio di riferimento presenta, d’altro canto, una serie di problematiche interne di non poco momento:
(a) si tratta di un sistema non completamente attuato: è noto che, pur essendo passato oramai un decennio dalla sua emanazione, l’art. 138 cod. ass., riguardante i danni derivanti dal lesioni di non lieve entità, è rimasto ancora lettera morta, per cui tale vuoto risulta colmato attraverso l’applicazione delle tabelle elaborate in sede giurisprudenziale;
(b) il sistema congegnato dal legislatore è stato oggetto di seri dubbi di costituzionalità;
(c) si tratta di un modello in via di revisione sul fronte normativo.

Prima di scendere all’analisi di tali profili problematici, ha senso porsi un interrogativo più generale: potrebbe il sistema della r.c. sanitaria, una volta previsto l’obbligo assicurativo, funzionare al di fuori delle tabelle predeterminate e vincolanti previste dal legislatore?

La risposta appare senz’altro positiva, perché è ciò che attualmente accade nell’ambito dei sinistri stradali. Va rilevato, infatti, che per le macroinvalidità non esistono ancora le tabelle normative, per cui si applicano quelle giurisprudenziali, che non pongono tetti massimi. A ciò si aggiunga il fatto che per il danno dei congiunti il legislatore non ha previsto una tabellazione; pertanto i pregiudizi in questione vengono risarciti sulla base di tabelle giurisprudenziali, le quali lasciano larghissimo spazio alla discrezionalità giudiziale, essendo la stessa esercitabile sulla base di criteri molto generici e al di fuori di un riferimento accertabile in sede tecnica, quale la percentuale di invalidità.

2. I danni compresi nelle tabelle normative

La discussione intorno alla legittimità del sistema si è appuntata, finora, sull’art. 139 cod. ass., incentrandosi su due versanti. Il primo riguarda il fenomeno oggetto di misurazione tabellare.
A tale proposito la Corte costituzionale nella sentenza n. 235/2014 – pur rilevando che la norma menziona il solo danno biologico – ritiene che entro la tabella debba essere ricondotto anche il patema d’animo. Si accoglie una tesi perorata, sia pure in termini di obiter, dalla Cassazione nella sentenza n. 12408/2011: lì i giudici di legittimità, pur riconoscendo che la tabella normativa risultava riferita a una concezione del pregiudizio non patrimoniale anteriore a quella unitaria affermata dalle Sezioni Unite del 2008, affermano che la stessa (e i relativi tetti invalicabili stabiliti per la personalizzazione del risarcimento) riguarda non già la sola componente biologica del pregiudizio, bensì le conseguenze non patrimoniali della lesione alla salute complessivamente intese: comprensive, quindi, delle sofferenze di carattere morale.

La Consulta richiama il principio – affermato dalle Sezioni Unite – secondo cui il danno morale “rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”; l’assunto secondo cui il danno morale viene assorbito nel danno biologico implica, di conseguenza, che la relativa liquidazione debba aver luogo nell’ambito del relativo sistema tabellare.
In controtendenza con queste indicazioni si sono poste alcune sentenze della Cassazione depositate successivamente a tale pronuncia, nel corso del 2015. Con la sentenza 11851 del 9 giugno 2015 (rel. Travaglino) si afferma la netta distinzione tra danno biologico e danno morale. Di qui il consistente obiter, tramite il quale la Cassazione cerca di conciliare tali conclusioni con i principi affermati dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 235/2014. Il danno morale, considerato quale componente autonoma, andrebbe preso in considerazione nel 20% della personalizzazione, legata alle condizioni soggettive del danneggiato, che risultano riferibili a entrambe le poste di pregiudizio.

L’autonomia del danno morale sarebbe ancor più cristallina – secondo tale pronuncia – all’interno dell’art. 138 cod. ass., in quanto la norma, dopo aver definito il danno biologico in maniera identica a quanto previsto nel successivo art. 139, lega la personalizzazione del danno alle ripercussioni negative di specifici aspetti dinamico-relazionali personali. Oggetto della previsione in aumento sarebbe quindi solo la dimensione relazionale del pregiudizio, mentre la componente di natura interiore, da quella norma non codificata e non considerata, sarebbe sottratta alle limitazioni del calcolo tabellare, lasciando libero il giudice di quantificarla con ulteriore equo apprezzamento. In conclusione, si conferma che “al di fuori del circoscritto ed eccezionale ambito delle micropermanenti, l’aumento personalizzato del danno biologico è circoscritto agli aspetti dinamico relazionali della vita del soggetto in relazione alle allegazioni e alle prove specificamente addotte, del tutto a prescindere dalla considerazione (e dalla risarcibilità) del danno morale”.

Un riconoscimento del danno morale al di fuori del calcolo tabellare non comporterebbe alcuna duplicazione risarcitoria, essendo “l’eventuale aumento percentuale sino al 30% funzione della dimostrata peculiarità del caso concreto in relazione al vulnus arrecato alla vita di relazione del soggetto”, mentre altra e diversa indagine, operata al di fuori di qualsiasi automatismo risarcitorio, andrà compiuta in relazione alla patita sofferenza interiore.

La Terza Sezione si è pronunciata anche successivamente in senso contrario all’assorbimento del danno morale entro le tabelle normative (Cass. 27 agosto 2015, n. 17209 – Rel. D’Amico). Nell’affrontare un’ipotesi di micropermanenti, a fronte della quale la vittima lamentava la mancata liquidazione del danno morale, i giudici di legittimità sottolineano che non esiste alcun automatismo nell’attribuzione di tale voce di pregiudizio: il quale deve essere provato, anche tramite presunzioni, tanto più in caso di lesioni che rivestano lieve entità. La S.C. sostiene che, laddove si accerti la ricorrenza di conseguenze di carattere sofferenziale, delle stesse dovrà essere tenuto conto nella determinazione del danno non patrimoniale da risarcire alla vittima. Si tratta di un accertamento separato ed ulteriore rispetto a quello della componente biologica del danno; sicché “anche in caso di danno da micropermanente, deve ritenersi consentita la liquidazione del danno morale come voce di danno non patrimoniale, in aggiunta al danno biologico previsto dall’art. 139 del codice delle assicurazioni private”. Spetta ovviamente al danneggiato allegare tutte le circostanze utili ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita in termini di sofferenza e turbamento.

In una prospettiva favorevole ad accogliere le indicazioni della Corte costituzionale risulta invece indirizzato il legislatore. L’intento di estendere la copertura – da parte delle tabelle – dell’intera area del danno non patrimoniale emerge in sede di riforma degli artt. 138 e 139 cod. ass., secondo la revisione di tali norme prevista all’interno del Disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, approvato dal Consiglio dei Ministri il 20 febbraio del 2015. La nuova versione di tali norme è rivolta a ribadire – in entrambe i casi – che “l’ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche”. La proposta di riforma dell’art. 139 – cui viene parallelamente affiancata quella dell’art. 138 cod. ass.– si preoccupa di assicurare che la lettura onnicomprensiva non possa essere smentita: si stabilisce che il sistema di valutazione individuato da tali disposizioni assuma una portata di carattere onnicomprensivo nei confronti di tutte le ripercussioni non patrimoniali della lesione alla salute.

Si tratta di un’operazione che si traduce in un deciso taglio del risarcimento. Ben diversa appare, in effetti la strada seguita per la tabelle di fonte giurisprudenziale: le quali, nel momento in cui sono state applicate ai fini di una valutazione del danno non patrimoniale inteso in maniera unitaria, hanno visto ritoccati i valori del punto, in modo da comprendere anche la componente morale. In sede di revisione normativa, in prima battuta, non è stata prevista alcuna rideterminazione del punto di invalidità, per cui un valore che in passato veniva convenzionalmente riferito esclusivamente la componente biologica del pregiudizio diviene il riferimento per la liquidazione complessiva del danno non patrimoniale sofferto dalla vittima.

Il legislatore non si è posto il problema di rideterminare il fenomeno oggetto di valutazione, in quanto ripropone le definizioni di danno biologico presenti nel testo attuale delle norme. In tale prospettiva, manca qualsiasi considerazione della componente standard del danno morale, considerato che la stessa non potrebbe essere presa in considerazione nemmeno in sede di personalizzazione (entrambe le norme condizionano l’intervento di ritocco del giudice soltanto per l’accertamento di “una sofferenza psicofisica di particolare intensità”).
Va, tuttavia, segnalato che un recupero della componente standard del pregiudizio morale è stata fatta in sede di emendamenti, per quanto riguarda le lesione di non lieve entità, dal momento che il punto di invalidità viene incrementato in maniera percentuale per tener conto del danno morale. Per le micropermanenti, un’indicazione per recuperare la considerazione della componente standard del danno morale proviene dalla medicina legale.

Ad essere prospettata (Società Medico Legale del Triveneto) è l’adozione di una metodologia idonea a qualificare la componente di sofferenza intrinseca correlata ad un determinato evento lesivo, al suo decorso e alla menomazione. Una volta acclarato che i barèmes previsti dalla legge in relazione alle menomazioni di lieve entità fanno riferimento soltanto alla disfunzionalità anatomica, viene proposta una a una revisione di carattere tecnico, volta a integrare in tale valutazione la considerazione della sofferenza intrinseca. Tale sofferenza costituirebbe così componente costante del danno biologico, comune a qualsiasi individuo portatore di una determinata menomazione, e andrebbe valutata non più dal giudice, ma dal medico legale.

3. Il limite alla discrezionalità giudiziale

Una volta acclarata l’onnicomprensività delle tabelle, emerge il problema riguardante la legittimità di una scelta normativa che ponga un tetto invalicabile all’intervento del giudice. Un’indicazione del genere viene a collidere con il principio dell’integralità del risarcimento, in quanto non potranno essere risarciti i danni che superino tale tetto.
Prima di valutare la legittimità di una soluzione del genere, si tratta preventivamente di chiarire quale sia il rapporto intercorrente il sistema generale di responsabilità civile e quello dei sottosettori nei quali risulta applicato lo strumento dell’assicurazione obbligatoria. Va evidenziato il dato che gli illeciti prodottisi in queste aree rimangono assoggettati alle regole generali.

Il fatto che la responsabilità civile sia necessariamente assicurata non modifica per alcun verso la natura e le finalità dell’istituto, posto che l’assicurazione non rappresenta un’alternativa alla responsabilità civile, bensì un mezzo atto a garantire che il rimedio risarcitorio possa trovare concreta attuazione. Non sussiste qui il principio di indipendenza che governa i rapporti tra sistema infortunistico e sistema aquiliano, fondato sul fatto che i due istituti perseguono differenti finalità e rende possibile applicare nei due ambiti regole non omogenee sul piano della tutela della vittima. Il modello di riferimento – sul versante del risarcimento del danno – deve rimanere quello tratteggiato in termini generali dall’art. 2059 c.c., e ogni scostamento disciplinare rispetto allo stesso potrà giustificarsi esclusivamente ove appaia improntato ad un criterio di ragionevolezza.

Secondo la sentenza 235/2014 della Corte costituzionale, integra il criterio di ragionevolezza un bilanciamento che sacrifica, da un lato, il diritto all’integrale risarcimento del danno per soddisfare, sul versante opposto, l’interesse degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi. Ora, si tratta di osservare, in primo luogo, che un effetto del genere non appare affatto scontato, dal momento che al limite normativamente imposto tramite la tabella delle microinvalidità non è stato correlato alcuno strumento legislativo finalizzato a calmierare i premi assicurativi. Più in generale, bisogna rilevare che un bilanciamento del genere non appare in radice ammissibile, dal momento che – per favorire un interesse di carattere economico – risulta sacrificato un interesse costituzionalmente protetto di carattere personale.

Ad essere inciso, infatti, è non già il principio di integrale risarcimento del danno, bensì il diritto al quale risulta applicato: che corrisponde, in questo caso, al diritto alla salute. La possibilità di ammettere una limitazione risarcitoria relativa ad un danno derivante dalla lesione di un diritto costituzionalmente protetto dall’art. 32 Cost. potrebbe essere valutata in termini di ragionevolezza solo in quanto, dall’altra parte, fossero messe in campo posizioni aventi analoga caratura. Resta il fatto che, quand’anche un bilanciamento del genere potesse essere ammesso, esso dovrebbe operare a favore della vittima (in tal senso, in materia di espropriazioni, si è pronunciata la CEDU: qui il danno non patrimoniale viene forfettizzato nella soglia del 10% del bene, ma viene attribuito al di fuori di qualunque prova). Ora, nel sistema in esame, non emerge alcuna contropartita a favore del danneggiato (visto che come tale non può essere considerata la riduzione dei premi, tanto più nella responsabilità sanitaria dove per le vittime non sussiste alcun obbligo assicurativo).

La Corte costituzionale richiama un ulteriore tipo di bilanciamento, ispirandosi alle indicazioni formulate dalle Sezioni Unite del 2008 in ordine alla possibilità di procedere a una compressione dei diritti inviolabili fondata sul dovere di solidarietà spettante a ciascun consociato. Tale richiamo non risulta tuttavia fondato: le Sezioni Unite rendono operante la richiamata limitazione lungo il profilo dell’an del risarcimento, in quanto – in nome del dovere di solidarietà – si perviene a escludere la rilevanza risarcitoria dei danni bagatellari: anche in presenza della lesione di un diritto inviolabile, la tutela andrebbe esclusa a fronte di lesioni non gravi e pregiudizi non seri. L’applicazione delle tabelle avviene, invece, a fronte di pregiudizi già transitati tramite le maglie di un simile filtro, per cui la limitazione opera sul piano del quantum: limitazione che viene a colpire, in base all’evocazione di un malinteso dovere di solidarietà, pregiudizi che non appaiono per alcun verso qualificabili come bagatellari.

L’irragionevolezza del sistema appare ancor più evidente ove si tenga conto del trattamento discriminatorio riservato al danno alla persona se confrontato con quello relativo al danno a cose, per il quale non opera alcun tipo di limitazione.
Resta da rilevare, in ogni caso, come le conclusioni perorate dalla Corte costituzionale appaiono strettamente legate al settore dei sinistri stradali. Nessuna richiamo automatico delle stesse, perciò, potrà essere operato allo scopo di sancire la costituzionalità di una scelta limitativa applicata in ordine alla tutela delle vittime di illeciti sanitari.

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