Attestare consapevolmente il falso per ottenere un riposo compensativo non spettante, è ricomprensibile nel concetto di giusta causa previsto dalla legge per il licenziamento.
Il licenziamento di un lavoratore che attesta la presunta partecipazione ad attività elettorali per fruire di un riposo compensativo è legittimo. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1631/2018.
La vicenda giudiziaria scaturisce dal ricorso presentato dal dipendente di un’azienda contro il licenziamento che gli era stato intimato dalla datrice. L’uomo aveva esibito un certificato nel quale si attestava la partecipazione ad attività elettorali, ma nei giorni previsti in realtà si era recato regolarmente sul posto di lavoro. Pertanto, non avrebbe potuto usufruire del permesso previsto quale riposo compensativo.
In primo grado l’impugnazione del provvedimento era stata rigettata, ma la sentenza era stata ribaltata in sede di appello. La società aveva quindi proposto ricorso davanti alla Suprema Corte.
Gli Ermellini hanno evidenziato come apparisse pacifico che il lavoratore aveva consegnato all’azienda un certificato attestante falsamente lo svolgimento di attività elettorale consentita dall’ordinamento.
Pertanto, a fronte di tale falso impegno, il giorno di riposo compensativo chiesto e usufruito era da ritenersi illegittimo.
La Cassazione ha sottolineato, inoltre, come tale condotta non potesse ricondursi a un semplice disguido o confusione sulla data di rientro al lavoro. Né tantomeno a una mera assenza ingiustificata. Per i Giudici del Palazzaccio, al contrario, il lavoratore aveva consapevolmente utilizzato un attestato falso, “al fine di usufruire di un riposo compensativo non spettante”. Tale ipotesi, dunque, è certamente ricomprensibile nel concetto di giusta causa previsto dalla legge per il licenziamento.
La correttezza del provvedimento, pertanto, è giustificata dalla condotta tenuta dal dipendente, che dichiarando il falso, compromette sia il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, sia i profitti dell’azienda in un momento di dedotto maggior bisogno lavorativo.
La Suprema Corte, alla luce di tali considerazioni, ha quindi ritenuto di accogliere l’impugnazione proposta rinviando la causa alla Corte d’Appello per un nuovo esame.
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