Qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda (…) non può essere ritenuta legittima la scelta di licenziare quei lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative

Il Tribunale di Milano (sent. n. 2005/2018) ha dichiarato l’illegittimità dei licenziamenti intimati ad alcuni dipendenti da parte di una società operante nel settore delle costruzioni stradali ed autostradali, all’esito della procedura di licenziamento collettivo avviata in data 21 luglio 2016 in virtù di una ristrutturazione aziendale.

Con verbale di intesa stipulato tra la società e le organizzazioni sindacali, si era dato atto di avere esperito positivamente la procedura di licenziamento ex artt. 4 e 24 della L. n. 223/91, nella quale, era stato, peraltro, precisato che la scelta dei lavoratori da collocare in mobilità non fosse limitata ai dipendenti operanti nel reparto aziendale soppresso, ma andava effettuata sulla base di una comparazione tra i lavoratori dell’intero complesso aziendale, al fine di verificare l’eventuale idoneità dei dipendenti ad una loro ricollocazione presso altre unità produttive ovvero di Gruppo.

Ebbene, la predetta comparazione fu proprio condotta valutando le professionalità dei lavoratori e l’eventuale pregresso svolgimento di attività in altre articolazioni aziendali, con l’obiettivo di individuare l’esistenza di lavoratori in possesso di professionalità equivalenti a quelle degli addetti in servizio presso altre realtà produttive.

All’esito della comparazione condotta secondo i criteri indicati ed esaminate le posizioni lavorative presso tutte le unità produttive dell’azienda, le parti avevano convenuto di licenziare i lavoratori occupati nel reparto/settore oggetto di ristrutturazione/soppressione aziendale.

I criteri per il licenziamento

Ma ben presto ci si rese conto che l’applicazione del criterio di una rotazione del personale tra le diverse unità produttive aziendali avrebbe creato un grave sconvolgimento delle attività e dell’organizzazione delle singole unità produttive. Sarebbe stata perciò, impraticabile.

Cosicché si decise che i criteri da seguire per l’individuazione dei lavoratori da licenziare, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale e, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati sarebbero stati i seguenti:

a) carichi di famiglia;

b) anzianità;

c) esigenze tecnico-produttive ed organizzative.

A seguito della protesta dei lavoratori licenziati, la decisione circa la legittimità dei criteri enunciati, venne rimessa al vaglio del giudice milanese.

La decisione di merito

Viene immediatamente invocato il consolidato insegnamento giurisprudenziale secondo il quale “qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia poiché ai fini della corretta applicazione del criterio delle esigenze tecnico- produttive dell’azienda, previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, per l’individuazione dei lavoratori da licenziare, la comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se detti lavoratori sono idonei – per pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (V. sostanzialmente in tal senso per tutte Cass. 13783/2006, 22824/2009, 22825/2009, 9711/2011)” (così Cass. 12 gennaio 2015 n. 2013; in termini cfr. Cass. 6 ottobre 2016 n. 20062; Cass. 1 agosto 2017 n. 19105; Cass. 18 luglio 2017 n. 17724).

Alla luce dei principi enunciati dalla Suprema Corte, il Tribunale ha ritenuto che, tramite accordo sindacale, possano essere legittimamente determinati criteri di scelta dei lavoratori diversi da quelli stabiliti per legge, e, in particolare, possa anche darsi rilievo esclusivo alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative, senza considerare i criteri del carico di famiglia e dell’anzianità di servizio.

All’accordo sindacale, in altri termini, è rimessa piena facoltà di individuare criteri di selezione dei lavoratori da licenziare diversi da quelli legali (sempre che, come ovvio, si tratti di criteri non discriminatori e non confliggenti con norme e principi dell’ordinamento).

Ma deve aggiungersi che, in ogni caso, l’accordo sindacale non può delimitare arbitrariamente il perimetro entro il quale applicare i criteri anzidetti, dovendo comunque sussistere, anche in presenza di un accordo sindacale in ordine ai criteri di scelta, esigenze oggettive che giustifichino, a monte, l’eventuale limitazione – rispetto all’intero complesso aziendale – della platea dei lavoratori tra cui operare la selezione.

 

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