Ove il datore di lavoro non dimostri di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipulazione del contratto, la clausola di apposizione è nulla e il contratto di lavoro a termine si considera a tempo indeterminato ab initio

La vicenda

L’attrice aveva dedotto di essere stata assunta dalla società convenuta per effetto di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato a partire dal 2.10.2017 lavorando in forza di ben tre proroghe sino al 31.12.2018.

Con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Milano la lavoratrice aveva chiesto, previo accertamento e declaratoria di nullità e/o inefficacia e/o illegittimità del contratto di lavoro a tempo determinato e delle relative proroghe, che fosse accertata la sussistenza – a far dara dalla data di assunzione – di un rapporto di lavoro a tempo in determinato, oltre alla dichiarazione di illegittimità e, comunque di inefficacia della sua estromissione dal posto di lavoro. Il giudice di merito avrebbe perciò, dovuto condannare la convenuta a riammetterla in servizio e corrisponderle la somma di 15.694 euro ai sensi dell’art. 28, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015.

Il ricorso è stato accolto perché fondato.

L’art. 20 del D.Lgs. n. 81/2005 statuisce che: “1. L’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa: d) da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

2. In caso di violazione dei divieti di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato”.

La valutazione dei rischi, prevista dall’art. 17, comma 1, lett. a) del predetto D.Lgs. deve essere, inoltre, contenuta in un apposito documento avente data certa conservato dal datore di lavoro (ex art. 28 D.Lgs. n. 81/2015).

La Cassazione, al riguardo, ha già chiarito che “La specificità del precetto trova la ratio legis nella più intensa protezione dei rapporti di lavoro sorti mediante l’utilizzo di contratto atipici, flessibili e a termine, ove incidono aspetti peculiari quali la minor familiarità del lavoratore e della lavoratrice sia con l’ambiente di lavoro sia con gli strumenti di lavoro a cagione della minore esperienza e della minore formazione, unite alla minore professionalità e ad un’attenuata motivazione” (Cass. n. 20733/2018).

La norma, peraltro, realizza l’armonizzazione della regola del necessario equilibrio tra flessibilità e sicurezza.

A fronte di tale pregnante obbligo di sicurezza verso i lavoratori con minor esperienza e familiarità verso l’ambiente di lavoro, l’ordinamento, in limine, esprime il proprio disvalore verso l’inosservanza degli adempimenti in tema di sicurezza dei luoghi di lavoro vietando al datore di lavoro, il quale non abbia effettuato la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, di stipulare il contratto a termine.

Incombe, pertanto, sul datore di lavoro che intende sottrarsi alle conseguenze della violazione del divieto l’onere di provare di aver assolto specificamente l’adempimento, con la valutazione dei rischi nei termini richiesti dalla normativa, all’evidenza in epoca antecedente alla stipula del contratto a termine. Ne consegue che, ove il datore di lavoro non provi di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipulazione del contratto, la clausola di apposizione è nulla e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato ab initio.

Inoltre, la forma scritta ad substantiam non ammette la possibilità per il datore di lavoro di fornire la prova dell’avvenuta valutazione dei rischi mediante prove orali. È infatti, necessario che, a fronte dell’eccezione del lavoratore, egli debba tempestivamente produrre in giudizio il documento scritto avente prova certa del DVR.

La decisione

Ebbene, nel caso in esame, la società datrice di lavoro si era limitata ad allegare alla memoria di costituzione un documento che si atteggiava alla stregua di un manifesto programmatico della politica aziendale della convenuta in materia di salute e sicurezza dei lavoratori e come tale senza alcuna validità ai fini in esame. Peraltro, era risultato che la data di formazione del documento in questione, fosse posteriore alla data di sottoscrizione del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato.

In definitiva, la violazione del divieto posto dalla sopra richiamata norma imperativa (art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015) ha comportato la trasformazione ab origine del contratto a termine in contratto di lavoro subordinato a tempo determinato; e, in applicazione dell’art. 28, comma 2, D.lgs. 81/2015 il Tribunale di Milano (Sezione Lavoro, sentenza n. 2300/2019) ha riconosciuto il diritto della lavoratrice alla riammissione in servizio ed alla corresponsione, in relazione alla dimensioni della società convenuta e al periodo di limitato di durata del rapporto, di un indennizzo pari a cinque mensilità della retribuzione utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

La redazione giuridica

Leggi anche:

TRASFORMAZIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO IN PART TIME: IL RIFIUTO COSTA ZERO

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui