Per la Corte Costituzionale la decisione di attendere la decisione del Tribunale di sorveglianza sulla concessione della semilibertà potrebbe arrecare un grave pregiudizio al percorso rieducativo del condannato soprattutto quando la sua istanza sia motivata da un’offerta di lavoro all’esterno del carcere
Il magistrato di sorveglianza può applicare, in via provvisoria, la misura della semilibertà al condannato a una pena detentiva non superiore a quattro anni, senza dover aspettare la decisione definitiva del Tribunale di sorveglianza. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 74/2020 con la quale è stata ritenuta fondata una questione di legittimità costituzionale sollevata da un magistrato di sorveglianza di Avellino.
Il regime di semilibertà, in base all’art.48 dell’ordinamento penitenziario, consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.
La Consulta ha osservato che la stessa normativa (legge n. 354/1975) già consente al magistrato di sorveglianza di concedere in via provvisoria la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale al condannato che debba espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni.
È allora irragionevole non consentirgli anche di anticipare la concessione della meno favorevole misura alternativa della semilibertà, quando il percorso rieducativo compiuto dal condannato non giustifichi ancora la sua completa uscita dal carcere, ma già consenta di ammetterlo a trascorrere parte della giornata fuori dall’istituto penitenziario.
La necessità di attendere la decisione del Tribunale – chiariscono i Giudici delle Leggi – potrebbe infatti arrecare un grave pregiudizio al percorso rieducativo del condannato, soprattutto quando la sua istanza sia motivata da un’offerta di lavoro all’esterno del carcere, che normalmente ha una durata limitata nel tempo.
La redazione giuridica
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