La vicenda giuridica è interessante perché affronta il caso di un datore di lavoro citato in giudizio da un suo dipendente per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa di un infortunio sul lavoro. In sede penale l’uomo era stato già condannato con sentenza di patteggiamento alla pena concordata tra le parti

Ci si chiede allora, qual è l’incidenza che una sentenza di patteggiamento può assumere all’interno del parallelo processo civile per la determinazione delle statuizioni risarcitorie?

La vicenda

Era un lavoratore di origine straniera. Nel 2002 era stato assunto da una ditta di giardinaggio ed esattamente un anno dopo subiva un grave infortunio sul lavoro.

Stava eseguendo dei lavori di potatura in un giardino di proprietà di due coniugi, all’interno di un cestello agganciato ad una gru posta su un autocarro e manovrata dal suo datore di lavoro.

A causa di una eccessiva movimentazione del braccio della gru e alla improvvisa inclinazione del cestello cadeva rovinosamente da una altezza di circa 6 metri, riportando lesioni personali gravi, consistite nella paraplegia degli arti inferiori.

Conveniva in giudizio il datore di lavoro al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti.

Quest’ultimo costituitosi in giudizio resisteva alla domanda attorea, asserendo che l’infortunio si era verificato in modo del tutto accidentale e peraltro per esclusiva colpa del dipendente il quale era caduto da una scala mentre era intento a portare una pianta nel vivaio della ditta.

In primo grado la domanda veniva respinta. Faceva seguito il processo d’appello. Ebbene proprio in questa sede il ricorrente ha introdotto per la prima volta, un tema tutt’altro che irrilevante.

A suo dire il giudice di primo grado nel mandare esente da responsabilità il convenuto non aveva valorizzato giustamente l’intervenuta sentenza di patteggiamento che nel frattempo era stata pronunciata nei suoi confronti all’esito del parallelo procedimento penale.

Ebbene il patteggiamento provava in maniera inequivocabile la sua colpevolezza. E pertanto, il giudice civile poteva provvedere a disporre il risarcimento del danno in suo favore.

Ma la corte d’appello adita non era d’accordo e così rigettava nuovamente l’istanza: “nella fattispecie in esame – affermava – l’asserita responsabilità del convenuto circa la causazione dell’infortunio de quo non può basarsi unicamente sulla sentenza di patteggiamento, non essendo ravvisabili presunzioni gravi, precise e concordanti che i fatti si siano svolti secondo la dinamica prospettata dalla parte attrice”.

Qual è il parere dei giudici della Cassazione al riguardo?

La sentenza penale di patteggiamento costituisce un importante elemento probatorio per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscerne l’efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione.

A tal proposito giova richiamare un’altra sentenza del 2006 (Sez. Un. n. 17289/2006) nella quale le Sezioni Unite hanno così statuito: “la sentenza penale di patteggiamento costituisce un importante elemento di prova nel processo civile (la richiesta di patteggiamento dell’imputato implica pure sempre il riconoscimento del fatto-reato); perciò, il giudice, ove intenda disconoscerne tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione”.

Infatti la sentenza di patteggiamento pur non potendosi tecnicamente configurare come sentenza di condanna, anche se è a questa equiparabile a determinati fini, presuppone pur sempre una ammissione di colpevolezza che esonera la controparte dall’onere della prova” (Cass. n. 9358/2005)

Non sono certo mancate pronunce di senso contrario. Ma i giudici Ermellini hanno ritenuto di dover fare applicazione del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite nel 2006.

Ha colto nel segno, allora, la questione sollevata dal lavoratore, perché la corte di merito aveva omesso di dare rilievo a un fatto decisivo per il processo (la sentenza di patteggiamento) censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c.

La sentenza impugnata, è stata perciò cassata e rimessa ad altra sezione della corte d’appello competente affinché dopo aver valutato tutte le risultanze istruttoree, compresa la sentenza penale, decida nuovamente sulla vicenda.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 

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