Separati in casa dopo pochi mesi dal matrimonio: negato l’annullamento

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Al fine di ottenere la delibazione della sentenza di annullamento ecclesiastico del matrimonio non è sufficiente la mancanza di adesione affettiva al rapporto di convivenza da parte di uno soltanto o di entrambi i coniugi

La vicenda

La Corte di Appello di Perugia aveva respinto la domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio avanzata dal ricorrente, sul presupposto della stabile convivenza dei coniugi per oltre tre anni dalla data del matrimonio.

Contro tale decisione l’uomo ha proposto ricorso per Cassazione denunciando la violazione degli artt. 8 c. 2 della legge n. 121/1985 e dell’art. 797 c.p.c. A detta del ricorrente, la corte territoriale avrebbe dovuto ritenere insussistenti i due requisiti (stabilità ed esteriorità) della convivenza ultratriennale, individuati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite quali elementi ostativi alla delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento, dal momento che dopo pochi mesi dalla celebrazione delle nozze, egli aveva vissuto come separato in casa a causa del tradimento della moglie.

In altre parole, la Corte d’Appello avrebbe errato nel qualificare la convivenza, come stabile e continuativa, essendo stata l’espressione di un matrimonio soltanto formale.

Ma i giudici della Sesta Sezione Civile della Cassazione (ordinanza n. 30900/2019) hanno rigettato il ricorso perché infondato alla luce della citata giurisprudenza.

Nella specie, la Corte di Cassazione ha affermato che “il dato della convivenza continuativa ultratriennale non può essere messo in discussione, al fine di escludere la condizione ostativa al riconoscimento in Italia della sentenza di annullamento ecclesiastico del matrimonio, deducendo una non adesione affettiva al rapporto di convivenza da parte di uno o di entrambi i coniugi.

“È necessario infatti, perché la dedotta mancanza di affectio coniugalis sia rilevante che entrambi i coniugi la riconoscano, al momento della proposizione della domanda di delibazione, ovvero che gli stessi abbiano manifestato inequivocamente all’esterno la piena volontà di non considerare la convivenza come un elemento fondamentale integrativo della relazione coniugale ma come una semplice coabitazione. E occorre inoltre che sia manifesta la consapevolezza delle conseguenze giuridiche di tale esteriorizzazione e cioè l’affermazione comune dell’esclusione degli effetti giuridici propri del matrimonio per effetto della semplice coabitazione. In altri termini è necessaria una ricognizione comune ed esteriorizzata della esclusione del carattere coniugale della convivenza”.

La decisione

«In questa prospettiva – hanno concluso gli Ermellini – appare irrilevante accertare se l’unione fra i coniugi nel periodo di convivenza ultratriennale sia stata più o meno felice, ovvero se vi sia stata una parziale o integrale non adesione affettiva da parte dei coniugi al dato fattuale della convivenza. Tale mancanza di adesione affettiva può acquistare rilevanza giuridica solo se viene concordemente riconosciuta e manifestata all’esterno in modo da privare alla convivenza ogni valenza riconducibile all’estrinsecazione del rapporto coniugale».

Nel caso in esame questo ulteriore requisito non era stato dedotto dal ricorrente né tantomeno provato; pertanto, il ricorso è stato respinto.

La redazione giuridica

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