L’esistenza di un tatuaggio che sia coperto dall’uniforme non costituisce causa di inidoneità, sia all’ingresso che alla permanenza nel corpo di polizia penitenziaria

La vicenda

Con ricorso al Tar Lazio, la ricorrente aveva impugnato il provvedimento con cui il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – Direzione Generale del Personale e delle Risorse – ne aveva disposto l’esclusione dal concorso pubblico per titoli ed esami a 80 posti di allievo agente di polizia penitenziaria femminile a seguito del giudizio di non idoneità: “Per tatuaggio esimente per sede – articolo 123, c. 1, lett. c”.

Con la pronuncia (n. 13315/2019) in commento i giudici del tribunale amministrativo hanno accolto il ricorso dell’aspirante agente di polizia penitenziaria, annullando il provvedimento impugnato.

Il ricorso al Tar

In primo luogo, è stato evidenziato che l’articolo 123 del d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria), stabilisce che “costituiscono cause di non idoneità per l’ammissione ai concorsi di cui all’articolo 122 le seguenti imperfezioni e infermità: …c) le infermità e gli esiti di lesione della cute e delle mucose visibili: malattie cutanee croniche; cicatrici infossate e aderenti, alteranti l’estetica o la funzione; tramiti fistolosi che, per sede ed estensione, producano disturbi funzionali; tumori cutanei. I tatuaggi sono motivo di non idoneità quando, per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme”.

A sua volta, l’Amministrazione competente con la circolare GDAP 0219217 – 2007, riguardante “Uso dei tatuaggi del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria” ha rilevato che, alla luce della predetta normativa, “non costituisce causa di inidoneità, sia all’ingresso che alla permanenza nel Corpo, l’esistenza di tatuaggi che siano coperti dall’uniforme, sia essa invernale che estiva, maschile o femminile (salvo il caso disciplinato dal citato articolo123, comma 1, lett.c) , d.lvo 443/1992: presenza di tatuaggi deturpanti o indici di personalità abnorme riscontrata in sede di assunzione)”.

Dalla lettura della predetta disposizione e dell’interpretazione amministrativa emerge che «il presupposto di fatto costituito dalla presenza di tatuaggi è, di per sé, circostanza neutra, che acquista tuttavia una sua specifica valenza ai fini della esclusione dall’arruolamento quando essi siano collocati “sulle parti del corpo non coperte dall’uniforme”, ovvero siano per natura o sede “deturpanti” o “indice di personalità abnorme”».

La decisione

Nel caso in esame, l’esclusione della ricorrente era stata motivata dall’Amministrazione in considerazione, appunto, di “tatuaggio esimente per sede”. In realtà, come era stato accertato dalla allegata documentazione, il tatuaggio era in corso di rimozione e quindi assimilabile a una cicatrice.

L’atto gravato, come rilevato da parte ricorrente, risultava pertanto carente di motivazione sotto il profilo della mancata adesione della fattispecie esaminata ai parametri normativi, che costituisce uno degli elementi obbligatori della motivazione (ai sensi dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241), specie per gli atti espressione di discrezionalità tecnica, come quello impugnato.

Tra l’altro la giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere che “la non immediata percepibilità visiva della presenza di un tatuaggio non consente di ritenere che la sua presenza risulti in contrasto con il prototipo di figura istituzionale, il che rende irragionevole e sproporzionata, rispetto alle finalità presidiate dalla disciplina di riferimento, l’esclusione della ricorrente dal concorso” (Tar Lazio, Roma, sez. I Bis, 21 agosto 2017, n. 9346).

La redazione giuridica

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