È valido l’accordo di separazione consensuale anche se estorto con minaccia, purché quest’ultima, non sia idonea ad invalidare il negozio giuridico.

Lo ha di recente stabilito il Tribunale di Milano.

Il ricorrente aveva chiesto l’annullamento della propria separazione consensuale già omologata, in quanto l’accordo era stato raggiunto per effetto di dolo e violenza morale che l’ex coniuge avrebbe posto in essere nei suoi confronti, minacciandolo di trasferirsi con il figlio a 900 km di distanza se egli non lo avesse firmato.

Già in passato la Suprema Corte di Cassazione (Cass., I Sez. Civ., 17902/2004) si è pronunciata sul punto. Ed, in verità, anche in dottrina si è molto discusso, stante la complessa natura giuridica della separazione consensuale – risultante dalla coesistenza di un accordo fra i coniugi, essenzialmente diretto a porre termine alla convivenza ed eventualmente a regolare altri aspetti, anche patrimoniali, della vita coniugale e familiare (momento privatistico) e di una procedura di volontaria giurisdizione (momento pubblicistico) che si conclude con la pronunzia del decreto di omologazione.

Ora, privilegiando diversamente l’uno o l’altro aspetto, si giunge ad escludere o ad ammettere l’esperibilità dell’azione di annullamento della separazione consensuale per vizi del consenso, ai sensi degli articoli 1427 e ss., C.C.

Le concezioni orientate a privilegiare il momento pubblicistico riducono il consenso (alla separazione) dei coniugi a mero presupposto volontario di essa, privo di contenuto negoziale autonomamente efficace ed avente l’unico scopo di permettere l’avvio dell’apposita procedura.

Il Tribunale di Milano ha però mostrato, con la sentenza in commento, di aderire al secondo degli orientamenti; quello secondo il quale la separazione consensuale sarebbe catalogabile fra le fattispecie contrattuali atipiche, in cui “il contenuto del regolamento concordato tra i coniugi, se trova la sua fonte nel relativo accordo, acquista efficacia giuridica con il provvedimento di omologazione, cui compete una funzione essenziale di controllo che non è limitata solo al merito dell’accordo, nei limiti del secondo comma dell’articolo 158 c.c., ma anche alla legittimità, in essa dovendosi includere non solo la verifica della ritualità del procedimento e del rispetto delle norme dell’ordinamento, ma anche l’accertamento della libertà e regolarità del consenso”. (Cass., I Sez. Civ., 17902/2004).

In altre parole, seguendo questa teoria, è necessariamente ipotizzabile, in ipotesi come quelle in esame, il configurarsi di un vizio del consenso, posto che la separazione consensuale deve essenzialmente ritenersi costituita dalla volontà concorde dei coniugi di separarsi (e di definire altri eventuali aspetti della vita coniugale e familiare), mentre la successiva omologazione assume una valenza di semplice condizione (sospensiva) di efficacia delle pattuizioni contenute in tale accordo.

Nel caso di specie, tuttavia  – afferma il Tribunale meneghino, la minaccia di trasferimento non costituisce valida causa di invalidità del negozio e, pertanto, la richiesta di annullamento, così come formulata, va rigettata.

Avv. Sabrina Caporale

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