Nel caso esaminato risultava del tutto trascurato il profilo della causalità della colpa, cioè l’incidenza del comportamento colposo sulla verificazione dell’evento

In tema di delitti colposi, per stabilire la sussistenza del nesso causale tra la condotta del soggetto attivo e l’evento, occorre verificare la sussistenza non solo della causalità della condotta (ossia della dipendenza dell’evento dalla condotta in cui quest’ultima si ponga quale condicio sine qua non, in assenza di decorsi causali alternativi eccezionali, indipendenti e imprevedibili), ma altresì la sussistenza della causalità della colpa (intesa come introduzione, da parte del soggetto agente, del fattore di rischio poi concretizzatosi con l’evento, posta in essere attraverso la violazione delle regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile il prodursi di quel rischio). Lo ha ricordato la Cassazione con la sentenza n.16835/2021, pronunciandosi sul ricorso di un automobilista ritenuto responsabile, in sede di merito, del reato di cui all’art. 590 c.p.

L’imputato, nel rivolgersi alla Suprema Corte, lamentava vizi motivazionali in relazione alla sussistenza del nesso di causalità e mancata assunzione di una prova decisiva. In particolare, deduceva che, per come emergeva dal testo della sentenza impugnata, il Giudicante evidenziava che ad innescare la carambola che coinvolse i quattro veicoli fu certamente un altro imputato, il quale, alla guida della sua Fiata Punto, incanalatosi nella corsia di destra sterzò a sinistra per guadagnare la corsia di sinistra non tenendo evidentemente conto della posizione, distanza, direzione e velocità dell’autoarticolato condotto dal ricorrente che si trovava già sulla corsia di sinistra. In seguito a tale contatto la Fiat Punto effettuava una rotazione di 3600 verso sinistra, finendo in testacoda e terminando la sua corsa nella semicarreggiata destinata al senso opposto di marcia dove avveniva la violenta collisione con il motociclo condotto dalla persona offesa.

Il ricorrente, che procedeva ad una velocità di appena 10 Km/h superiore rispetto al limite consentito in quel tratto di strada, sosteneva che la richiesta perizia cinematica avente ad oggetto la dinamica dell’incidente, perizia non ammessa dal Giudice, avrebbe potuto rivelarsi decisiva ai fini della sussistenza o meno del nesso di causalità tra la violazione amministrativa posta in essere dal ricorrente e l’evento lesivo; soprattutto alla luce della manovra repentina e gravemente imprudente del conducente la Fiat Punto che, invadendo la corsia di marcia dell’autoarticolato, avrebbe potuto ugualmente andare a collisione con il motociclo condotto dalla persona offesa, anche qualora egli avesse osservato i limiti di velocità e, quindi rivestendo la condotta del conducente della Fiat Punto natura di efficacia causale esclusiva rispetto all’evento dannoso.

Gli Ermellini hanno ritenuto fondata la doglianza proposta.

Dal Palazzaccio hanno innanzitutto evidenziato che “in materia di incidenti da circolazione stradale, l’accertata sussistenza di una condotta antigiuridica di uno degli utenti della strada con violazione di specifiche norme di legge o di precetti generali di comune prudenza non può di per sé far presumere l’esistenza del nesso causale tra il suo comportamento e l’evento dannoso, che occorre sempre provare e che si deve escludere quando sia dimostrato che l’incidente si sarebbe ugualmente verificato senza quella condotta o è stato, comunque, determinato esclusivamente da una causa diversa.

La Cassazione ha poi rilevato che, nel caso in esame, il giudice di pace non aveva precisato perché la condotta del ricorrente (benché questi viaggiasse ad una velocità di poco superiore a quella consentita) fosse stata tale da comportare a carico dell’imputato che la pose in essere un addebito di colpa concorrente con quella dell’altro imputato che, alla guida della sua Fiat Punto, pacificamente, aveva posto in essere un improvviso e repentino cambio di corsia, non tenendo evidentemente conto della posizione, distanza, direzione e velocità dell’autoarticolato condotto dal ricorrente che si trovava già sulla corsia di sinistra, carambolando poi in testacoda e terminando la sua corsa nella semicarreggiata destinata al senso opposto di marcia dove avveniva la violenta collisione con il motociclo condotto dalla persona offesa. Risultava altresì del tutto trascurato il profilo della causalità della colpa, cioè l’incidenza del comportamento colposo (una volta precisamente accertato) sulla verificazione dell’evento.

Orbene, sulla base delle acquisizioni probatorie emergenti in sentenza, la Suprema Corte ha sottolineato che “quand’anche fossero nella specie rilevabili profili deponenti per la causalità della condotta (qualificando il comportamento alla guida da parte del ricorrente come condotta che costituì materialmente una condicio sine qua non dell’accaduto), sicuramente manca la coerente ed adeguata motivazione che sorregge l’assunto secondo cui detto comportamento risultò determinante sul piano della causalità della colpa.

Il giudice a quo non considerava che la violazione da parte del ricorrente della norma concernente il limite di velocità non risultava -con la dovuta certezza- da porsi in rapporto di causalità con l’incidente, posto che non appariva affatto certo – alla stregua della frettolosa motivazione- che se egli avesse mantenuto una velocità nel rispetto del limite previsto, l’urto, con alta probabilità logica, non si sarebbe ugualmente verificato in considerazione dello sbandamento e dell’invasione della corsia di sinistra da parte della Fiat Punto. La motivazione resa dal giudicante del merito – anche per l’assenza di opportuna perizia cinematica – appariva dunque contraddittoria e carente.

La redazione giuridica

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