La Corte territoriale aveva disatteso il mandato di eseguire l’imprescindibile personalizzazione dei danni parentali non patrimoniali conseguenti al duplice omicidio colposo di convivente e di figlia del ricorrente

Aveva agito in giudizio nei confronti di un automobilista e della relativa compagnia assicurativa chiedendo il risarcimento del danno subito in conseguenza di un sinistro stradale cagionato dal convenuto e costato la vita alla convivente, incinta alla 30esima settimana, nonché alla piccola che portava in grembo, fatta nascere con parto cesareo d’urgenza, ma sopravvissuta solo alcuni minuti alla madre a causa di “grave asfissia perinatale”. La Corte d’Appello, quale giudice del rinvio, aveva respinto il gravame interposto dall’attore in relazione alla pronunzia del Tribunale, di parziale accoglimento della domanda risarcitoria. Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente lamentava che il Collegio distrettuale avesse disatteso il mandato affidatole dalla sentenza rescindente ex art. 384 c.p.c., che le aveva imposto – per decidere in sede restitutoria le sorti dell’appello sul punto – di eseguire in modo finalmente adeguato – partendo dal contenuto dell’impugnazione – l’imprescindibile personalizzazione dei danni parentali non patrimoniali, conseguenti al duplice omicidio colposo di convivente e di figlia del ricorrente, attraverso la previa esposizione della logica interna del criterio equitativo prescelto (preferibilmente quello milanese), attraverso l’individuazione dei relativi fattori della personalizzazione rilevati e rilevanti nella peculiare fattispecie sottoposta al suo giudizio restitutorio, caratterizzata dall’eccezionale gravità di un duplice omicidio colposo perpetrato da un soggetto in stato di ebbrezza, in modo poi da giungersi all’illustrazione del se e del come gli stessi fattori avessero influenzato in concreto la decisione sul quantum che, in teoria avrebbe persino potuto confermare quella minimalista del Tribunale, ma solo se ciò fosse stato coerente con l’applicazione della disvelanda logica interna del criterio equitativo prescelto, contestualizzato sulle concrete circostanze sulle quali la parte appellante stessa si era lungamente intrattenuta nella propria impugnazione (per poi ribadirle con l’atto riassuntivo della fase rescissoria), quando sostenne l’insufficienza estimatoria tribunalizia rapportata solo ai minimi ed ai medi tabellari di Milano del 2009 (e non ai massimi od agli ultra massimi della tabella in vigore al momento della decisione) e soprattutto l’imperscrutabile oscurità del ragionamento giudiziale che aveva condotto il Tribunale a liquidare i minimi e i medi valori tabellari (di euro 150.000 per la figlia e di euro 230.000 per la convivente), nonostante avesse correttamente rilevato e persino sottolineato la presenza di circostanze patognomoniche di conseguenze non patrimoniali gravissime ed eccezionali per il superstite, sia sul fronte dell’entità del dolore interiore (destinato a riprodursi lungo tutto l’ancora lunga vita da trascorrersi da solo), che su quello delle perdite dinamico-relazionali, come aveva puntualmente rilevato quel primo Giudice.

Denunciava, inoltre, che la corte di merito avesse erroneamente pronunziato con riferimento alla Tabelle di Milano del 2009, e non anche a quelle applicantesi al momento della decisione.

Gli Ermellini, con la sentenza n. 27130/2021, hanno effettivamente ritenuto di aderire alle argomentazioni proposte.

Il giudice del rinvio aveva premesso che “la coppia ha convissuto fino al momento del sinistro in modo sereno, accogliendo anche il figlio del ricorrente, nato da un precedente matrimonio e dividendo i compiti relativi alla gestione della quotidianità”; che “la progettualità era spinta fino al proposito di concepire un figlio”; che non si può “dubitare della gravità della perdita, conseguita per il ricorrente al decesso della compagna, con la quale condivideva il proprio presente e confidava di avere un futuro”. Nel sottolineare altresì, da un canto, come “le modalità drammatiche della perdita, improvvisa, repentina, ed ascrivibile alla condotta illecita di una persona terza abbiano contribuito a rendere ancor meno accettabile, e perciò più doloroso, il lutto del ricorrente”; e, per altro verso, come “analoghe considerazioni possono svolgersi avuto riguardo alla morte della neonata, frutto di una relazione consolidata e parte anch’essa del progetto di vita”, è quindi pervenuta a contraddittoriamente e del tutto illogicamente concludere che, essendo “la piccola … vissuta solo pochi minuti dopo il taglio cesareo”, la medesima “alcun rapporto ha potuto consolidare con il genitore”, sicché “la sofferenza del padre va ricondotta, non tanto alla privazione parentale, quanto piuttosto al rimpianto per una genitorialità non realizzatasi”.

Sostanzialmente parificando la paternità di una neonata nella specie vissuta per “pochi minuti” ad una paternità sperata e mancata, la Corte territoriale aveva ravvisato essere conseguentemente “congrua” una liquidazione ammontante a meno della metà della quantificazione relativa alla perdita della madre della bimba, sua compagna convivente. Aveva ulteriormente affermato non poter “trovare accoglimento la pretesa di parte riassumente di vedere applicate le tabelle aggiornate nell’anno 2014, posto che la somma da riconoscere va comunque maggiorata di interessi e rivalutazione”. A tale stregua, ha posto a base della propria valutazione equitativa criteri connotati invero da assoluta intrinseca contraddittorietà ed illogicità, con motivazione al riguardo appalesantesi meramente apparente e pertanto inesistente, là dove ha considerato la figlia non già quale persona nata viva e vissuta pur se per brevissimo lasso di tempo (una decina di minuti) , bensì come se si fosse trattato di una mera non realizzata speranza di vita, e pertanto parallelamente della mancata realizzazione di una paternità sperata (“la sofferenza del padre va ricondotta non tanto alla privazione parentale, quanto piuttosto al rimpianto per una genitorialità non realizzatasi”).

Per altro verso, la corte di merito aveva disatteso il principio in base al quale il giudice (anche d’appello) aveva l’obbligo di utilizzare le Tabelle di Milano applicantesi al momento della pronunzia di liquidazione del danno, non idoneamente spiegando e dimostrando come la ravvisata dovuta corresponsione di “interessi e rivalutazione” possa nella specie valere a legittimare in concreto l’utilizzazione delle precedenti e meno favorevoli Tabelle addirittura del 2009.

La redazione giuridica

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