Una sentenza della Cassazione ha deliberato in merito alla sospensione del servizio internet, specificando quando abbiamo diritto a un risarcimento

Quante volte ci sarà capitato di cambiare gestore telefonico e trovarci per un lungo periodo a fare i conti con la sospensione del servizio internet? Ebbene, la sentenza n. 15349 del 21 giugno 2017, emessa dalla Corte di Cassazione, si è occupata proprio di questa questione, precisando che, in caso di sospensione del servizio internet, abbiamo diritto a essere risarciti solo se proviamo il danno che abbiamo concretamente subito.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, un soggetto aveva agito in giudizio nei confronti della Telecom, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, poiché la sospensione del servizio internet da parte della società per circa due mesi, aveva causato dei danni al suo studio professionale, rimasto privo di connessione.
La Telecom, contestando il risarcimento richiesto, ha osservato che la sospensione del servizio internet era avvenuta in quanto il soggetto era passato a un altro gestore telefonico, che veniva, dunque, chiamato in causa.
Il Giudice di Pace, decidendo nel merito della controversia, è giunto quindi a condannare entrambe le compagnie telefoniche al risarcimento del danno subito dal professionista.
Il Tribunale, in sede di appello, aveva infatti accertato che la Telecom aveva interrotto in modo illegittimo il servizio ADSL non appena l’altra compagnia telefonica le aveva comunicato il passaggio alla sua gestione; mentre, invece, la Telecom avrebbe dovuto trasferire al nuovo gestore la linea internet, senza che vi fosse sospensione del servizio internet.
Ciononostante, il Tribunale ha rigettato la domanda risarcitoria avanzata dal professionista, ritenendo che lo stesso non avesse provato il danno subito.
L’uomo, dunque, si è rivolto alla Corte di Cassazione per ottenere ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole. Tuttavia, i giudici, non hanno ritenuto di poter dar ragione al ricorrente, considerando il ricorso infondato.
Secondo i giudici, infatti, il danno patrimoniale da mancato guadagno lamentato dal ricorrente, ha come presupposto fondamentale che venga provato il guadagno che il soggetto avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta.
Ne consegue che, secondo la Corte, la liquidazione di tale danno richiede “un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità)”, che può essere svolto “in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente”, dai quali il giudice possa desumere l’entità del danno subito.
Quanto al danno non patrimoniale, invece, la Cassazione ha osservato che il Tribunale aveva escluso a ragione che il disservizio avesse comportato la violazione del “diritto alla comunicazione” del ricorrente, in quanto il soggetto non aveva dato indicazione di limitazione particolarmente gravi, tali da “pregiudicargli seriamente il diritto a comunicare”.
Alla luce di queste circostanze, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal professionista, confermando integralmente la sentenza resa dal Tribunale.
 
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