Lo stipendio gli era stato erogato nonostante il dipendente non fosse più in servizio: illecito penale o civile? Alla domanda hanno risposto i giudici della Cassazione con la sentenza in commento (n. 8459/2019)

Era stato accusato del delitto di appropriazione indebita perché, nonostante il collocamento in acquiescenza, aveva continuato a percepire lo stipendio per ben due anni.
In primo grado era condannato con sentenza confermata, sebbene in parziale riforma, anche dai giudici dell’appello.
Ma per il ricorrente si trattava di una vera e propria ingiustizia.
Quale reato? Al massimo poteva parlarsi di illecito civile ai sensi dell’art. 2033 c.c., in materia di indebito oggettivo.

Seguiva, pertanto, il ricorso per Cassazione

Si discute dunque di appropriazione indebita di somme di denaro erroneamente erogate dall’Ente, nonostante l’intervenuta cessazione del rapporto di lavoro.
Ebbene, i giudici della Cassazione hanno condiviso la ricostruzione operata dalla difesa; nella specie, che il fatto contestato non presentava i caratteri di illiceità penale non ricorrendo l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 646 c.p.; e ciò non in ragione della natura fungibile del bene (denaro) oggetto della condotta appropriativa, che va considerato di altri quando sia affidato per un uso determinato o per una specifica indicazione nell’interesse del proprietario, ma perché ai fini della configurabilità del delitto di appropriazione indebita, qualora l’oggetto della condotta sia appunto il denaro, è necessario che l’agente violi, attraverso l’utilizzo personale, la specifica destinazione di scopo ad esso impressa dal proprietario al momento della consegna cd. interversio possessionis); non essendo sufficiente il semplice inadempimento all’obbligo di restituire somme in qualunque forma ricevute.

La decisione

Nel caso in esame, la disposizione di bonifico bancario da parte dell’Ente erogatore dello stipendio, sia pure erroneamente eseguita, aveva determinato il trasferimento del denaro sul conto corrente dell’imputato i cui atti dispositivi non potevano essere, certo, qualificati come dimostrativi dell’interversio possessionis trattandosi di bene entrato nel patrimonio dell’accipiens, senza destinazione di scopo e configurandosi, in tal caso, solo un obbligo di restituzione dell’indebito.
Detto in altri termini, a seguito della dazione, la somma di denaro era entrata definitivamente a far parte del patrimonio dell’”accipiens” senza alcun vincolo di impiego, con la conseguenza che, venuto meno il rapporto tra le parti, poteva dirsi esistente solo un obbligo di restituzione che, ove non adempiuto, avrebbe integrato esclusivamente un inadempimento di natura civilistica, consentendo di ipotizzare esclusivamente un’azione civile di indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2033 c.c
Dunque sentenza annullata con rinvio e niente condanna penale per l’imputato.

La redazione giuridica

 
Leggi anche:
PECULATO D’USO: CONDANNATO UN MARESCIALLO DEI CARABINIERI

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui