Quando un’alba od un tramonto non ci danno più emozioni, significa che l’anima è  malata

Abbiamo voluto esordire con questa  frase di Roberto Gervaso per sottolineare che le emozioni, intese come quei sentimenti o stati d’animo, pensieri, idee, convinzioni che ciascuno di noi percepisce o prova, più o meno intensamente, sono una parte importante della nostra vita, permettendo di relazionarsi, nel bene o nel male, con gli altri e con Noi stessi.
Ecco perché, allora, una emozione o un sentimento negativo, determinato da un fatto illecito altrui ,  può essere fonte di un danno risarcibile laddove abbia inciso perniciosamente su quella fonte di energia costituita proprio da quei  pensieri positivi, che i sogni, gli obiettivi le aspirazioni di ognuno di noi alimentano quotidianamente.
In tale contesto, ben si inserisce la sentenza del Tribunale di Milano 21.07.2016. in un caso di malpractice medica, in cui è stato riconosciuto il danno correlato alle sofferenze morali, direttamente consequenziali alla negligenza ed imperizia dei sanitari per i plurimi errori commessi nei confronti di un paziente, sottoposto alle loro cure per essere affetto da un carcinoma intestinale.
La CTU aveva, infatti, confermato i profili di responsabilità professionali, prospettati dalla parte ricorrente, costituiti dalle seguenti emergenze:

  • grave imprudenza, quanto al primo intervento, della scelta di asportare per via endoscopica una lesione intestinale di 4,5 cm di diametro del colon, posto che la percentuale della complicanza perforativa prevista in letteratura, da ritenersi grave perché potenzialmente in grado di porre in pericolo di vita il paziente per le sequele di peritonite, è stimabile nella misura del 5-6%, valore di pochissimo migliorabile (4%) in mani estremamente esperte, operanti su casistica vastissima;
  • il paziente avrebbe quindi dovuto essere da subito sottoposto a un intervento di resezione colica, anche per via laparoscopica, presentante risultati sovrapponibili a quelli ottenuti per via tradizionale;
  • l’errore commesso aveva precluso per circa 7-8 mesi la possibilità di diagnosticare il coesistente carcinoma del sigma, invasivo e con metastasi linfonodali;
  • il secondo errore consisteva nell’aver tardato ad operare il paziente in presenza di chiari segni clinici di perforazione intestinale, consentendo l’instaurarsi della peritonite da ritardo, portante inevitabilmente tutte le negative conseguenze cliniche refertate;
  • la successiva deiescenza anastomotica (evento da ritenersi statisticamente rarissimo in caso di emicolectomia destra) era imputabile verosimilmente ad un errore di tecnica chirurgica; parimenti discutibile risultava essere la mancata adozione di una “anastomosi ileo-trasverso”, considerata più sicura, in luogo della adottata “ileostomia loop derivativa”;
  • a distanza di oltre cinque anni dalle cure praticate il paziente non presentava segni di recidiva e doveva ritenersi clinicamente guarito.

Alla luce di quanto sopra, dunque veniva riconosciuta la responsabilità contrattuale dell’Ente Ospedaliero e quella del medico, ancorché ai sensi dell’art. 2043 CC, applicabile sulla base della accertata ricorrenza delle condizioni previste da detta norma.
Interessante la parte relativa alla liquidazione del quantum debeatur laddove viene fatto riferimento, oltre che alle componenti biologiche per quanto consta, al risarcimento danni dei c.d. sentimenti negativi insorgenti nell’attore dalla coscienza di essere stato  colpito da un evento critico, con potenziale esito letale nel volgere di poco tempo e dalla necessità (non ricorrente in assenza di malpractice) di essere sottoposto ad un intervento d’urgenza con i rischi e le sofferenze fisiche ad esso connessi (calo ponderale di venti chili, alimentazione parenterale).
Dalla sentenza in questione si evince che con l’espressione “sentimenti negativi”, abbastanza significativa per quanto infra ricordato, il Tribunale Ambrosiano ha voluto alludere a quella voce del danno non patrimoniale costituito dalle sofferenze morali direttamente causate dall’errore medico e non sussumibili nel danno biologico (alla integrità psico-fisica); come tali autonomamente apprezzabili sulla base di una congrua personalizzazione del suddetto pregiudizio. Personalizzazione individuata attraverso l’aumento di € 30.000,00 rispetto ai valori liquidati a titolo di risarcimento del danno biologico, sulla base delle tabelle di liquidazione ex art. 139 D.lgs. 209/2005, come aggiornato con DM 25/06/2015, ritenute applicabili al particolare caso scrutinato.
È appena il caso di ricordare,  al riguardo, che la norma in commento attraverso la ricordata personalizzazione del “danno derivante dai sentimenti negativi allegati dal paziente” ha applicato l’orientamento giurisprudenziale  formatosi successivamente alle c.d. sentenze di S. Martino (S.U. 2008), le quali hanno posto l’accento sulla esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie, attraverso liquidazioni di distinte voci che riguardarono lo stesso pregiudizio, e nel contempo, però,  di garantire l’integrale risarcimento del pregiudizio effettivamente subito dalla vittima del fatto illecito.
Tale ultima esigenza è stata avvertita dal Tribunale di Milano, il quale, richiamando espressamente tale orientamento, ha ritenuto di riconoscere il danno morale, al quale allude l’espressione danno “da sentimenti negativi”, attraverso una personalizzazione del pregiudizio biologico, capace di ristorare le sofferenze interiori o (alias) i sentimenti negativi (che è lo stesso), i quali, per effetto dell’illecito, hanno avuto ripercussioni pregiudizievoli sulla vittima come tali, meritevoli di considerazione in quanto lesivi di interessi costituzionalmente protetti.
In conclusione il Tribunale di Milano ha affermato la specificità delle sofferenze soggettive interiori della vittima, che, seppur indicate “quali sentimenti negativi”, e quindi utilizzando una nuova terminologia, non è idonea a mutare la sostanza delle cose, dato che essi sul piano descrittivo vanno sotto il nome di danno morale. Con ciò aderendo a quell’orientamento giurisprudenziale che da ultimo ha riaffermato il principio secondo cui “Il danno non patrimoniale individua una categoria concettuale unitaria rispetto alla quale il richiamo alle singole voci del c.d. danno morale, di quello biologico o, più in generale, del pregiudizio arrecato alle forme di esplicazione della persona dotate di rilievo costituzionale, non valgono a superare la dimensione di una semplice sintesi descrittiva di conseguenze dannose, pur sempre secondarie alla violazione di prerogative giuridicamente rilevanti ai sensi dell’art 2059 CC; ossia di prerogative connesse alla commissione di violazioni penalmente rilevanti (cfr art, 185 CP), di interessi di indole non patrimoniale che la stessa legge indica come suscettibili di risarcimento in caso di lesioni (cfr art. 2059 CC), ovvero di interessi connessi alla sfera di esplicazione della persona formalmente rivestiti di una espressa considerazione di livello costituzionale” (Cass. 02/02/2017 n° 2720).

Avv. Antonio Arseni

Foro di Civitavecchia

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