Condannato dal Tribunale di Lanciano, alla pena di 200 euro di multa per il reato di molestie e disturbo alle persone, ai sensi dell’art. 660 c.p., perché per mezzo del telefono e per biasimevole motivo, recava molestie alla persona offesa, effettuando numerosissime telefonate

Le telefonate accertate tra marzo e maggio 2015, avvenivano a qualsiasi ora, di giorno, di notte e molte pervenivano anche sul cellulare della vittima e alcune, erano “mute” e anonime.
Nel giudizio era emerso che l’imputato aveva riportato condanne penali per fatti analoghi. Questi era stato identificato grazie all’acquisizione dei tabulati della persona offesa, la quale impaurita aveva denunciato in modo preciso gli orari in cui le suddette telefonate le erano pervenute.
Gli squilli e le chiamate sul proprio cellulare, pur essendo mute, le avevano arrecato un grave turbamento emotivo, un vero e proprio stato di «sofferenza», come definito dal giudice di primo grado.
La sentenza è stata confermata anche dai giudici della Suprema Corte di Cassazione.
Il ricorso era stato presentato proprio dall’imputato, il quale denunciava la violazione di legge, posto che a sua detta, la sua condotta non aveva provocato alcuna interferenza nella libertà della denunciante, né alcuna mutazione delle sue condizioni di vita e, in ogni caso, non era stato provato alcun grave disagio psichico o di un giustificato timore per la propria sicurezza, come richiesto dall’art. 660 c.p.

Il reato di moleste e disturbo alle persone

Giova premettere che il reato di molestie consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persona, interferendo nell’altrui vita privata e nell’altrui vita di relazione.
In particolare, ai fini della sussistenza di tale reato, gli intenti scherzosi o persecutori dell’agente sono del tutto irrilevanti, una volta che si sia accertato che, comunque, a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento, esso è connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone.
Perciò il ricorso proposto dall’autore del reato non aveva alcun pregio, neppure sotto il profilo della richiesta applicazione della causa di non punibilità per tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p.
Visto il numero delle telefonate e degli squilli accertati sulla base dei tabulati, lo stato di sofferenza della vittima, manifestato anche in sede di deposizione in aula e soprattutto considerato il fatto che il condannato non era “nuovo a simili fatti” la corte territoriale aveva fatto bene ad escludere l’applicabilità di tale causa di non punibilità, la quale, al contrario, ricorre soltanto quando il comportamento del reo non è abituale e non è stato posto in essere con condotte plurime, abituali e reiterate.

La redazione giuridica

 
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