Rigettata la domanda del lavoratore di risarcimento del danno biologico, morale, perdita di guadagno e spese mediche per infortunio sul lavoro.
Il fatto
La Corte d’Appello di Napoli ha confermato il rigetto della domanda con la quale il lavoratore aveva chiesto la condanna della datrice di lavoro (una impresa marittima) per infortunio sul lavoro.
Secondo la tesi del lavoratore, mentre era impegnato in attività di rizzaggio e di fissaggio dei camion e loro rimorchi su una nave della Compagnia Tirrenia, era stato colpito da catene malamente aggrovigliate riportando la frattura del V metacarpo. Inoltre l’infortunio sul lavoro ed i danni da esso derivati sarebbero da addebitare alla datrice di lavoro per l’utilizzo smodato del lavoro straordinario e per l’omessa adozione di idonee misure di sicurezza e prevenzione. Oltre a ciò, il lavoratore lamenta di non essere stato soccorso.
La Corte di Appello ha fatto riferimento al mancato assolvimento da parte del lavoratore degli oneri di allegazione e prova sullo stesso gravanti. Ha in particolare rilevato che il ricorso di primo grado era carente in ordine alle asserite specifiche cautele omesse o alle norme infortunistiche violate, e che erano generiche le ragioni di responsabilità della datrice di lavoro, individuate nella sistematica sottoposizione del personale al lavoro straordinario con conseguente stress da superlavoro.
Per quanto concerne la posizione del datore di lavoro, i Giudici di appello hanno osservato che dalle audizioni testimoniali era emersa l’adozione di tutte le misure idonee a prevenire l’infortunio sul lavoro (ivi compresa la dotazione al lavoratore dei prescritti dispositivi di protezione), e che comunque, non avrebbe potuto imputarsi al datore di lavoro la responsabilità dell’accaduto per la presenza di qualche catena aggrovigliata poiché rientrava nell’ordinaria diligenza del lavoratore assicurarsi che catene e tiranti utilizzati per le operazioni di carico e scarico non fossero aggrovigliati.
Il ricorso in Cassazione
Il lavoratore pone le proprie ragioni al vaglio della Cassazione dolendosi della violazione del principio di non contestazione con riguardo alla circostanza della mancata prestazione di soccorso.
Parte ricorrente, nel dedurre la errata applicazione del principio di non contestazione, non ha osservato l’onere del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione essendosi limitata a trascrivere i soli brani del ricorso di primo grado pertinenti alla questione della mancata prestazione di soccorso in seguito all’infortunio sul lavoro, senza trascrivere, o esporre per riassunto, le difese sul punto articolate dalla società, nei propri scritti difensivi ed in particolare nella memoria di costituzione di primo grado.
Tale modalità è inammissibile alla luce della giurisprudenza secondo cui la verifica di fondatezza delle censure formulate deve avvenire sulla base del solo esame del ricorso per cassazione senza necessità di indagini integrative o rinvio per relationem ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio (Cassazione Civile, sez. lav., 11/04/2024, n.9762).
In particolare è stato chiarito che qualora si ascriva al Giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica, onde consentire alla Corte di Cassazione di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, nel caso specifico ciò non è avvenuto.
Il ricorso viene dichiarato complessivamente inammissibile con condanna alle spese di lite.
Avv. Emanuela Foligno