Asl di Palermo e Villa Maria Eleonora Hospital vengono citati a giudizio per la asserita responsabilità della morte del paziente dopo l’intervento di angioplastica percutanea, avvenuto presso l’ospedale Ingrassia, all’epoca ospitata presso la struttura ospedaliera accreditata Villa Maria Eleonora Hospital.
I fatti
Il paziente veniva ricoverato con una condizione caratterizzata da diabete mellito, ipertensione arteriosa e alcuni episodi di dolori toracici e stenosi, con una diagnosi in ingresso di cardiopatia ischemica.
Veniva sottoposto dapprima a due coronografie e subito dopo a un intervento chirurgico di angioplastica coronarica. Si verificava un arresto cardiaco e il paziente decedeva.
I familiari della vittima ritengono che la morte sia dovuta alla scelta errata del medico di effettuare l’intervento di angioplastica percutanea, anziché un intervento di rivascolarizzazione chirurgica e alla grave negligenza e imperizia nell’eseguire l’operazione, e in particolare l’incannulazione con il catetere guida.
La vicenda giudiziaria
Tribunale e Corte d’Appello rigettano la domanda di responsabilità sanitaria. I Giudici di secondo grado danno atto della mancata prova di una negligenza o imperizia del medico, e che la morte fosse dovuta ad una complicanza non evitabile della già complessa situazione cardiaca del paziente in precarie condizioni complessive di salute e che, quanto alla mancanza di un consenso informato all’ operazione, non risultava fornita la prova che, ove adeguatamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi ad essa.
Inoltre è corretta la scelta terapeutica, effettuata dopo la seconda coronografia, ed anche di minor rischio per il paziente rispetto alla rivascolarizzazione miocardica ipotizzata in alternativa dai congiunti come preferibile, che avrebbe comportato l’installazione di un bypass aortocoronarico e l’esposizione del paziente ad un rischio consistente.
Per quanto concerne il lamentato consenso informato, i Giudici di secondo grado, premessa la duplice natura dei danni correlati risarcibili, danno atto che la pretesa risarcitoria è stata correlata alla lesione del diritto alla salute e che non è stata fornita la prova che il paziente avrebbe preferito sottrarsi alla operazione se adeguatamente informato, in presenza di un atto terapeutico necessario.
Il ricorso in Cassazione
Inutile il ricorso in Cassazione dei congiunti del paziente, perché complessivamente inammissibile essendo finalizzato a una rinnovazione dell’esame dei fatti di causa, e comunque la decisione di appello è del tutto corretta (Cassazione Civile, sez. III, 08/04/2024, n.9198).
Ciò che i familiari contestano è la scelta medica, che la Corte d’appello ha confermato essere stata corretta, condividendo le osservazioni tecniche del C.T.U., ed anche esclusa l’imperizia nella esecuzione dell’incannulamento mediante accertamento in fatto non rinnovabile in Cassazione.
La Corte d’Appello ha ritenuto che il paziente è arrivato in ospedale in condizioni generali già complesse, che è stato effettuato su di lui l’intervento in quel caso ritenuto più opportuno, (ed anche il meno rischioso, rispetto alla installazione di by pass coronarico opinata dai parenti). Inoltre l’intervento è stato eseguito correttamente, su un paziente già provato anche da diverse e precedenti patologie, il cui fisico non ha retto, escludendo ogni nesso causale tra le scelte e l’operato dei medici e l’esito infausto dell’intervento, dovuto ad una complicazione non imprevedibile, ma comunque non evitabile.
Quanto al profilo della violazione del diritto al consenso, hanno ritenuto i Giudici di merito che la domanda fosse stata proposta in stretta correlazione con la lesione del diritto alla salute.
Ciò è conforme al principio secondo cui se la denuncia di violazione del consenso informato è collegata al danno alla salute procurato al paziente, chi agisce per il risarcimento del danno deve anche provare che il paziente, se adeguatamente informato, avrebbe scelto di non sottoporsi all’intervento.
Avv. Emanuela Foligno