La vittima subisce un importante infortunio mentre svolgeva attività di motocross, per tale ragione pretende l’indennizzo della polizza infortuni che quantifica in oltre 250.000 euro. L’assicurazione nega l’indennizzo e ciò viene confermato dal Tribunale e dalla Corte d’Appello.
La vicenda
In primo grado l’assicurazione eccepiva che l’infortunio non era indennizzabile, ai sensi dell’art. 20 della polizza infortuni, in quanto avvenuto durante la pratica di sport con utilizzo di veicoli a motore. Il Tribunale di Fermo con sentenza n. 405/2018 respingeva la domanda.
La vittima propone appello lamentando, tra le altre, errata valutazione dei presupposti della domanda e della ripartizione dell’onere probatorio in tema di assicurazione contro gli infortuni, nonché erronea e contraddittoria motivazione in ordine all’applicazione dell’art. 115 c.p.c. La Corte d’Appello (sent. n. 2129/2018) rigettava l’appello, confermando integralmente la sentenza del giudice di primo grado e condannando parte appellante alla rifusione delle spese relative al grado.
Il ricorso in Cassazione
La questione approda in Cassazione e (per quanto di interesse) la vittima censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nella parte in cui la corte territoriale ha affermato che: “occorre pertanto verificare dove e come l’appellante, a fronte dell’eccezione sollevata dall’appellato in comparsa di risposta, ha contestato i fatti a fondamento della medesima (stava facendo motocross). “In prima udienza e nella prima memoria ex art. 183 c.p.c. si è limitato a lamentare che le asserzioni della Compagnia erano sfornite di prova, senza prospettare quella puntuale allegazione della dinamica dell’infortunio che sarebbe valsa a contrastare le deduzioni avverse.
Non è infatti dato sapere in che luogo della pista sarebbe avvenuta la caduta, se ad esempio percorrendo un sentiero laterale o la pista stessa, né il motivo per cui l’appellante si sarebbe determinato a tal percorso, né il tipo di percorso, se accidentato o piano, né se qualcuno ha assistito alla caduta a piedi: tutti fatti che avrebbero potuto essere dedotti senza difficoltà (fatti questi mai dedotti, neppure in citazione, essendosi la vittima limitata a dedurre di aver subito “un infortunio”). Pertanto, si deve ritenere corretta la decisione del primo giudice che ha ravvisato in tale reticenza, il mancato assolvimento dell’onere di specifica contestazione”.
Questa censura è fondata (Cassazione Civile, sez. III, 14/03/2024, n.6954).
La polizza infortuni e l’onere della prova
La questione della distribuzione dell’onere probatorio nei giudizi aventi ad oggetti il pagamento di indennizzi assicurativi è stata di recente affrontata (Cass. n. 24273/2023), ove sono stati ribaditi i seguenti principi di diritto:
“È noto tuttavia come il rischio previsto nel contratto di assicurazione sia di norma un rischio delimitato attraverso patti di vario genere che circoscrivono, a seconda delle volontà delle parti e del premio pagato, l’indennizzabilità ai soli danni derivanti da determinate cause (delimitazione causale del rischio), ovvero ai soli danni consistiti in determinati eventi (delimitazione oggettiva del rischio), od ancora ai soli danni sinistri che abbiano colpito determinate persone (delimitazione soggettiva del rischio). Per effetto dell’inserimento nel contratto di assicurazione di queste clausole di delimitazione del rischio, gli effetti avversi cui l’assicurato è teoricamente esposto possono essere classificati in tre categorie:
- (a) i rischi inclusi, sono quelli per i quali il contratto accorda all’assicurato il pagamento dell’indennizzo.
- (b) i rischi esclusi, sono quelli del tutto estranei al contratto (ad es., il rischio rispetto ad una polizza infortuni che copra la responsabilità civile).
- (c) i rischi non compresi sono invece quelli che astrattamente rientrerebbero nella generale previsione contrattuale, ma l’indennizzabilità dei quali è esclusa con un patto espresso di delimitazione del rischio (ad esempio, in un contratto di assicurazione contro i danni da incendio, si esclude l’indennizzabilità degli incendi provocati dal fulmine).
Le distinzioni di cui sopra riverberano sul piano del riparto dell’onere della prova: il rischio incluso deve essere provato dall’assicurato; il rischio non compreso deve essere provato dall’assicuratore.
È onere dell’assicurato dimostrate che il rischio avveratosi rientra nei “rischi inclusi”
In definitiva, la Suprema Corte ribadisce che è onere dell’assicurato dimostrate che il rischio avveratosi rientra nei “rischi inclusi” (cioè, nella categoria generale dei rischi oggetto di copertura assicurativa), mentre, qualora (come nel caso concreto) il contratto contenga clausole di delimitazione del rischio indennizzabile (ad esempio: soggettive, oggettive, causali, spaziali, temporali), grava sull’assicurazione provare il fatto impeditivo della pretesa attorea e, cioè, la sussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione di dette clausole.
Di tali principi di diritto non ha fatto corretta applicazione la Corte d’Appello perché ha sostanzialmente sollevato l’assicurazione dall’onere della prova del rischio escluso (cioè dall’onere di provare che l’evento si era verificato all’interno del crossodromo e quindi durante lo svolgimento di attività sportiva con utilizzo di veicoli a motore), riversandolo indebitamente sull’assicurato (sul quale gravava invece soltanto l’onere di dimostrare la riconducibilità dell’evento occorso a una causa fortuita, violenta ed esterna).
In definitiva, la Corte ha errato perché ha attribuito alla vittima l’onere di provare ancora più puntualmente la dinamica del sinistro, ritenendolo gravato da tale dimostrazione in virtù della contestazione mossa dalla compagnia assicuratrice nel corpo della comparsa di costituzione e risposta depositata in primo grado.
Le osservazioni dell’avv. Foligno
Si condivide in toto il ragionamento della Cassazione. Basti, difatti, semplicemente considerare il consolidato principio in tema di responsabilità contrattuale, in base al quale colui che agisce per l’adempimento (ovvero per la risoluzione o per il risarcimento del danno) deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre è al debitore convenuto che incombe di dare la prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento, ovvero del fatto impeditivo o modificativo.
Avv. Emanuela Foligno