Assolto dall’accusa di omicidio colposo il medico di Pronto soccorso accusato di mancata diagnosi tempestiva della patologia cardiaca risultata fatale per il paziente

Era accusato di omicidio colposo per colpa specifica consistita nella omessa sottoposizione a controlli strumentali e diagnostici, tracciato elettrocardiografico ed effettuazione del dosaggio degli enzimi cardiaci nonché per generica imprudenza, negligenza e imperizia, a causa delle quali, si era verificata la morte di un paziente a seguito delle complicazioni sopravvenute, in conseguenza della mancata diagnosi tempestiva della patologia cardiaca e l’errata diagnosi muscoloscheletrica.

Il Tribunale di Lecce aveva ritenuto che l’evento fosse ascrivibile all’imputato, medico in servizio presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Gallipoli; in particolare, quanto alla sussistenza del nesso causale, aveva argomentato, richiamando i principi affermati dalle Sezioni Unite Franzese, che se fosse stato effettuato un intervento di angioplastica coronarica d’urgenza entro i 120 minuti dalla diagnosi ovvero dal riscontro con ECG ( cosi come affermato da tutti i consulenti tecnici compreso quello della difesa) il paziente avrebbe avuto un’alta probabilità di salvarsi. Più specificamente, se alle ore 1.20 fosse stato eseguito l’elettrocardiogramma vi era il tempo di 30/40 minuti per raggiungere l’ospedale ed effettuare l’intervento salvifico in considerazione anche della giovane età della vittima, il cui arresto cardiaco si era verificato verso le ore 2.35.

La Corte di appello, all’esito della perizia disposta d’ufficio, pur affermando la condotta gravemente colposa omissiva posta in essere dal sanitario, in violazione delle linee guida e delle buone pratiche clinico assistenziali che impongono di fronte al sintomo di un dolore toracico, dopo una accurata storia amnestica, l’immediata esecuzione di un ECG e del dosaggio enzimatico al fine di orientare, confermando o meno la diagnosi di una sindrome coronarica acuta, aveva ritenuto che, in presenza di una patologia gravissima, difficilmente governabile nella quale l’esito infausto e repentino costituisce una eventualità per nulla rara, la situazione organizzativa esistente presso l’ospedale in questione, dove non era possibile eseguire una procedura coronarica percutanea, non avrebbe consentito di evitare l’evento letale.

Il Collegio distrettuale aveva evidenziato, sulla base della perizia di ufficio, che gli unici centri dove tale procedura poteva essere effettuata erano distanti 36 o 42 Km e che il tempo a disposizione, 60 minuti, tra quando il paziente era giunto al pronto soccorso e fu sottoposto a visita alle ore 1,20 e quando ne era stata constatata la morte, alle ore 2,35, non consentiva di ritenere con un grado elevato e concreto di probabilità che, dopo gli accertamenti di rito, sarebbe giunto presso il centro dove la procedura percutanea poteva essere eseguita in tempi significativamente antecedenti all’insorgenza della fatale aritmia che ne aveva determinato la morte e quindi non in tempi utili affinché tale procedura potesse essere eseguita.

Da li la decisione di assolvere l’imputato perché il fatto non sussiste, in quanto non era possibile affermare, al di la di ogni ragionevole dubbio, che un diverso comportamento avrebbe potuto modificare l’evoluzione clinica infausta del paziente.

Nel ricorrere per cassazione, la parte civile censurava la sentenza impugnata deducendo, tra gli altri motivi, che il Giudice a quo avesse seguito un ragionamento illogico e fondato su dati temporali errati, non considerando che se il sanitario avesse regolarmente svolto gli accertamenti tendenti a verificare se vi fosse un infarto in atto, il paziente, nel tempo di 17 minuti, trasportato con autombulanza, avrebbe raggiunto l’ospedale di Lecce e il reparto UTIC ove si eseguono interventi di angioplastica; evidenziava poi che tra l’insorgenza dei sintomi e la morte erano passate ben cinque ore, anche considerato che già dalle ore 21,30 il paziente presentava localizzato il dolore al torace, nonostante la somministrazione di antidolorifici alla guardia medica. Quindi, anche a voler considerare il più breve lasso di tempo intercorrente tra le dimissioni e l’intervento del 118 che ne aveva constatato la morte, si avrebbe avuto il tempo di realizzare il ricovero di urgenza in un’unità coronarica attrezzata, così da scongiurare l’ischemia del miocardio e la fatale aritmia.

La Suprema Corte, tuttavia, con la sentenza n. 33230/2020 ha ritenuto di non aderire alla doglianza proposta, rigettando il ricorso.

I Giudici Ermellini hanno premesso che, come noto, nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva, mentre l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo comportano l’esito assolutorio del giudizio.

La Cassazione ha tuttavia precisato che il meccanismo controfattuale, necessario per stabilire l’effettivo rilievo condizionante della condotta umana (nella specie: l’effetto salvifico delle cure omesse), deve fondarsi non solo su affidabili informazioni scientifiche ma anche sulle contingenze significative del caso concreto, dovendosi comprendere: a) qual è solitamente l’andamento della patologia in concreto accertata; b) qual è normalmente l’efficacia delle terapie; c) quali sono i fattori che solitamente influenzano il successo degli sforzi terapeutici.

Nel caso in esame in ordine all’effetto salvifico della condotta omessa, effettuazione dell’elettrocardiogramma e esami enzimatici, nella sentenza di appello si leggeva che la condotta doverosa non avrebbe certamente evitato l’evento mortale, spiegandosi che “il susseguirsi di eventi clinici dalla presentazione in pronto soccorso alle ore 1,20 alla constatazione del decesso alle ore 2,35 si sono realizzati in poco più di 60 minuti, tempo di per sé insufficiente non solo ad eseguire oltre l’ECG il prelievo ematochimico per il dosaggio enzimatico, considerato che nel laboratorio analisi non era presente un medico di turno e comunque per lo sviluppo degli esami occorreva un tempo di un’ora e mezza”, ma che in ogni caso il paziente “non poteva giungere in tempo presso uno dei centri sanitari attrezzati di Lecce, per eseguire, prima dell’insorgenza dell’aritmia fatale, l’intervento coronarico percutaneo che per avere un effetto salvifico doveva essere effettuato entro 120 minuti dalla diagnosi”.

Alla luce dei principi evidenziati, che impongono di verificare, in base al meccanismo contro-fattuale, che l’azione (doverosa) omessa avrebbe impedito l’evento, secondo un giudizio di alta probabilità logica, fondato non solo su affidabili informazioni scientifiche,  ma anche sulle contingenze significative del caso concreto, tale motivazione risultava logica e coerente con i dati di fatto risultanti dall’istruttoria nella parte in cui escludeva la sussistenza del nesso causale valutando la situazione logistica concreta e, cioè, le condizioni specifiche della paziente, il lasso temporale intercorso dal momento in cui sarebbe insorta la doverosità dell’accertamento diagnostico specifico ed il momento del decesso; la situazione organizzativa dell’ospedale di Gallipoli.

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