Accolto il ricorso di un infermiere del 118 accusato di una non corretta valutazione del paziente per il quale era stato richiesto l’intervento, poi morto per arresto cardiaco

La causalità omissiva è ravvisabile non solo in presenza di leggi scientifiche universali o di leggi statistiche che esprimono un coefficiente prossimo alla certezza (ma che pur sempre impongono di accertare la irrilevanza di eventuali spiegazioni diverse eventualmente dedotte), ma può esserlo altresì quando ricorrano criteri medio bassi di probabilità cd. frequentista, nulla escludendo che “anch’essi, se corroborati dal positivo riscontro probatorio… circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento”. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza n. 11651/2021 pronunciandosi sul ricorso di un infermiere di turno del servizio sanitario di urgenza ed emergenza del 118, accusato di avere omesso una adeguata intervista sul quadro sintomatologico per il quale era stata formulata richiesta di intervento e di aver omesso di pervenire a una corretta valutazione del paziente, così da formulare un urgenza da codice giallo anziché da codice rosso. La valutazione dell’operatore sanitario, di conseguenza, avrebbe impedito l’attivazione tempestiva di un automezzo con medico al seguito; il tutto nonostante avesse ricevuto una seconda chiamata nella quale si evidenziava l’insorgenza di un problema cardiaco. Da tale condotta era derivata causalmente la morte del paziente per arresto cardiaco a seguito di infarto.

La Corte di appello. in relazione ai profili causali assumeva che all’esito di giudizio controfattuale in ordine alla efficienza causale del ritardo con cui l’ambulanza era stata inviata e della mancata presenza di un medico al seguito, era possibile affermare, con ragionevole certezza che anche l’anticipo di alcuni minuti avrebbe consentito di attuare l’intervento salvifico con il defibrillatore, essendo la defibrillazione elettrica l’unica terapia in grado di correggere la fibrillazione tachicardica ventricolare. Assumeva a tale proposito che nel 85% dei casi all’evento ischemico faceva seguito la fibrillazione ventricolare, la quale doveva essere tempestivamente trattata con lo strumento sopra indicato. Residuava pertanto una più modesta percentuale in cui, a fronte di asistolia non preceduta da fibrillazione atriale, neppure il tempestivo intervento del medico con defibrillatore sarebbe stato in grado di evitare l’exitus. Evidenziava peraltro una serie di elementi sintomatici, connessi alla condizione del paziente al momento della somministrazione delle pratiche rianimatorie, che inducevano a ritenere, sulla base di evidenze scientifiche indicate dal perito, che l’insorgenza della crisi cardiaca era di natura ischemica che era progredita in fibrillazione atriale.

Sulla base delle valutazioni peritali la Corte di Appello di Roma assegnava rilievo eziologico anche al mancato invio di un medico al seguito il quale, per competenza professionale, avrebbe potuto somministrare terapie più appropriate e svolgere più celermente e compiutamente le pratiche rianimatorie anche mediante defibrillatore, così da aumentare notevolmente le probabilità di sopravvivenza del paziente.

Il ricorrente, nel rivolgersi alla Suprema Corte, lamentava vizio motivazionale per mancato rispetto dei requisiti probabilistici dell’ipotesi controfattuale atteso che, a prescindere dalle valutazioni probabilistiche operate, risultava incerta proprio la serie eziologica che aveva condotto a morte il paziente, risultando un margine percentuale, niente affatto tranquillizzante, in base al quale la crisi cardiaca in cui era incorso il paziente non fosse trattabile e comunque regredibile neppure con un trattamento di urgenza tempestivamente somministrato da un medico del Servizio del 118, sommandosi pertanto questa alternativa probabilistica a tutte le ulteriori varianti al ribasso collegate alla effettiva valenza salvifica di una tempestiva manovra rianimatoria con il defibrillatore; a suo avviso doveva pertanto concludersi che si era distanti dall’elevata probabilità logica e dalla ragionevole certezza razionale di un intervento salvifico in presenza di un più celere ed organizzato intervento dell’ambulanza e del personale sanitario.

I Giudici Ermellini hanno ritenuto fondate le doglianze dell’infermiere.

“Invero – hanno chiarito dal Palazzaccio – in relazione al rapporto di causalità rispetto all’evento, il giudice territoriale, pur richiamando l’insegnamento del giudizio controfattuale proposto dal giudice di legittimità a partire dalla sentenza a sezioni unite FRANZESE, non ha considerato che l’operazione di verifica causalistica, sulla base di criteri di credibilità razionale e di alta probabilità logica, è stata condotta non solo in relazione alla potenzialità salvifica di un tempestivo intervento con operatore sanitario qualificato munito di strumenti di pronto soccorso rianimatorio, ma in relazione alla stessa natura della patologia occorsa al paziente. In sostanza il giudice distrettuale, per corroborare il giudizio inferenziale già in precedenza condotto dal giudice di prima cure, ha poggiato il ragionamento controfattuale all’interno di un doppio binario causale, operando una prima ricostruzione sulla possibile evoluzione della patologia cardiaca occorsa al paziente e in tale modo ha oltrepassato le asperità dell’eziologia frequentista della scienza medica che limita alla percentuale del 15% le possibilità che, a fronte di insulto cardiaco come quello occorso al paziente, nessun intervento medico sarebbe risultato salvifico. Si è addentrato poi nell’esame delle potenzialità salvifiche, a fronte dell’insulto cardiaco ischemico in precedenza ipotizzato, di un intervento salvifico dell’equipaggio sanitario tempestivamente sollecitato dall’operatore del 118 ed ha riconosciuto, sulla base di un criterio cronologico fattuale anch’esso riconducibile alla migliore scienza medica e all’eziologia frequentista-probabilistica che, qualora l’intervento del primo soccorso munito di defibrillatore e assistenza di medico al seguito fosse stato più tempestivo, la fase acuta dell’insulto ischemico avrebbe potuto essere trattata con successo”.

L’errore logico giuridico della Corte di Appello, per la Cassazione, “è stato però quello di ritenere che, a fronte di una notevole probabilità (80 – 85 %) suggerita dal sapere scientifico, che si trattasse di patologia ischemica suscettibile di essere trattata nella sua fase acuta (fibrillazione ventricolare) prima che evolvesse in una condizione irreversibile (asistolia), fossero stati rispettati i canoni del giudizio controfattuale richiamati dalla giurisprudenza di legittimità ai fini del riconoscimento della causalità materiale tra condotta temporeggiante dell’operatore del 118 e l’evento dannoso”. Peraltro “con tale inferenza il giudice distrettuale ha omesso di confrontarsi con l’altro corno del problema causale, quello della potenzialità salvifica dell’intervento tempestivo, laddove egli ha affrontato e, nella prospettiva considerata, risolto soltanto uno degli aspetti controversi della serie causale, quello afferente alla ricorrenza di una patologia emendabile”.

E ancora, il Supremo Collegio ha evidenziato che “l’altro aspetto controverso del problema, relativo alla rilevanza causale di un tempestivo intervento sanitario con defibrillatore, imponeva una autonoma ponderazione sulla sussistenza di un ulteriore anello della serie causale, la cui esplicitazione in termini di logicità e credibilità razionale avrebbe imposto un rinnovato sforzo motivazionale”. Da considerare poi “che il ragionamento controfattuale avrebbe dovuto essere unitario e condotto mediante l’indicazione dei singoli passaggi che giustificavano, in termini di alta probabilità logica, il superamento degli ostacoli, la cui interferenza non poteva che essere sommata, al razionale svolgersi della catena causale attivata dalla condotta omissiva dell’imputato, giudizio che al contempo avrebbe dovuto escludere rilievo a eventuali fattori causali alternativi e concorrenti”.

Il Collegio distrettuale, al contrario aveva ragionato come se la percentuale pari al 85% indicata dai periti sulla base del sapere medico si riferisse alle potenzialità salvifiche di un intervento tempestivo, non condizionato dalle incertezze o dalle attese provocate dall’operatore del 118, laddove la stessa afferiva alla evoluzione dell’insulto ischemico in fibrillazione ventricolare (patologia trattabile con defibrillazione tempestivamente praticata).

Peraltro – ha sottolineato la Cassazione – “una tale percentuale probabilistica di rilievo frequentista (stimata in 80-85%) attiene appunto all’origine ed all’evoluzione della patologia e non già alla probabilità di successo nel trattamento della stessa, tanto che lo stesso giudice di appello, argomentando in ordine alla causalità dell’evento, evidenziava in motivazione come ricorresse un margine di insuccesso anche qualora l’operatore sanitario fosse stato chiamato ad affrontare una fibrillazione ventricolare. Richiamando invero il sapere scientifico più accreditato inferiva che, a fronte di un intervento con defibrillatore condotto anche soltanto con qualche minuto di anticipo, le probabilità di risolvere la crisi cardiaca con l’uso del defibrillatore sarebbero state molto più elevate, essendo la de fibrillazione elettrica l’unica terapia in grado di correggere la fibrillazione tachicardica ventricolare e riportare al recupero del ritmo valido con ripristino dell’attività del cuore, riconoscendo implicitamente la possibilità di insuccesso anche di un intervento tempestivo, percentuale che avrebbe dovuto essere comunque considerata se si voleva rientrare nel solco del ragionamento controfattuale delineato dalla giurisprudenza di legittimità”.

La redazione giuridica

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