All’imputata veniva contestato di aver causato, attraverso violazioni di norme antinfortunistiche, il decesso di un lavoratore caduto da una scala mentre era intento ad eseguire un lavoro in quota

Era stata condannata in sede di merito per il reato di cui all’art. 589 cod. pen. perché, quale datore di lavoro, per colpa specifica consistita nella violazione di norme in materia di infortuni sul lavoro, aveva cagionato la morte di un dipendente. All’imputata, nello specifico, erano contestate tre violazioni di norme antinfortunistiche: non aver messo a disposizione del lavoratore attrezzature di lavoro adeguate, aver omesso l’idonea manutenzione delle attrezzature di lavoro e l’omessa formazione del lavoratore.

La dinamica del fatto era stata ricostruita sulla base della visione del filmato registrato dalle telecamere di sicurezza del centro commerciale in cui si era verificato l’incidente nonché sulla base dello stato di fatto constatato sul luogo: il lavoratore era insieme a un collega presso il centro commerciale intento a montare un cartellone pubblicitario a un’altezza di circa m. 2,60 dal suolo; era salito su una scala in alluminio a doppi tronchi estensibili, posizionata parallelamente, così come quella del collega, alla serranda sulla quale si sarebbe dovuto affiggere il cartellone; all’improvviso, per cause non chiaramente visibili dal filmato ma individuate dal giudice di primo grado in una perdita di equilibrio, mentre i due lavoratori salivano ognuno la propria scala reggendo i due estremi del cartellone, la vittima, giunta all’ultimo piolo, era caduta.

La Corte territoriale aveva ritenuto che, nonostante la scarsa qualità del filmato non consentisse di vedere con chiarezza il momento della caduta, ciò non inficiava la possibilità di accertare gli elementi essenziali del fatto, in particolare che il lavoratore fosse caduto dall’ultimo dei gradini della scala mentre stava eseguendo la lavorazione. Partendo dal presupposto, pacifico, che il lavoratore aveva perduto l’equilibrio mentre era intento a posizionare un cartellone a un’altezza di oltre due metri dal suolo, la Corte aveva ritenuto che l’utilizzo della scala messa a disposizione del lavoratore non fosse consentito per quella lavorazione. In particolare, la scala utilizzata era priva di piattaforma (che è un piano orizzontale situato nella parte superiore) e di dispositivo guardacorpo (che è un dispositivo di presa posizionato in cima alla scala). Posto che l’utilizzo di scale prive di piattaforma e guardacorpo è possibile solo nei casi nei quali il ricorso ad altro tipo di attrezzature non sia giustificato, dato il limitato livello di rischio e la breve durata dell’intervento, i giudici di appello ne avevano desunto l’inadeguatezza della scala a posizionare un cartellone alto m. 1,50 ad un’altezza certamente superiore a m. 2, come evincibile dal fatto che il lavoratore si era dovuto posizionare alla sommità della scala senza alcun elemento di supporto anteriore.

Qualificato il lavoro come lavoro in quota, i giudici ne avevano inferito che la scelta dell’attrezzatura di lavoro fornita dall’imputata fosse del tutto inidonea, non potendosi qualificare la lavorazione come “a limitato livello di rischio” e consentendo l’ambiente di lavoro di utilizzare strumenti più sicuri.

Profilo ulteriore di colpa era stato rinvenuto nel fatto che la scala presentava i dispositivi antisdrucciolo usurati, mentre con riguardo al fatto che il lavoratore non avesse sfilato sufficientemente la scala e la avesse posizionata lateralmente alla serranda anziché frontalmente, come sarebbe stato corretto, la Corte territoriale aveva ritenuto che tanto fosse effetto di una inadeguata formazione e informazione del lavoratore.

Con riguardo all’asserita condotta abnorme del lavoratore, dedotta in appello dall’imputata, i giudici di merito avevano sottolineato come quest’ultimo avesse cercato di realizzare il compito che gli era stato assegnato utilizzando l’attrezzatura di lavoro consegnatagli, senza che fosse praticabile da parte sua altro tipo di comportamento.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, l’imputata, deduceva, tra gli altri motivi, la mancanza della motivazione in relazione al nesso di causalità. La difesa adduceva la manifesta insufficienza delle argomentazioni svolte dai giudici a fronte delle doglianze sollevate nell’atto di appello in quanto, nonostante fosse indispensabile poter ricostruire l’esatta dinamica dell’incidente, nella sentenza si sarebbe confuso con motivazione apodittica e distonica il giudizio predittivo con il giudizio esplicativo, attribuendo alla perdita di equilibrio del lavoratore il valore di causa dell’infortunio. Anche con riferimento alla censura inerente alla condotta abnorme del lavoratore, la difesa evidenziava come si potesse ritenere abnorme anche il comportamento connesso con lo svolgimento di mansioni lavorative quando le misure antinfortunistiche siano state in concreto aggirate dal lavoratore; nessuna motivazione, si assumeva, era stata poi fornita in replica alla deduzione per cui l’infortunato era lavoratore esperto, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sottoposto a corsi di formazione e informazione e aveva collaborato alla redazione del documento di valutazione dei rischi.

La Cassazione, tuttavia, con la sentenza n. 39307/2021, ha ritenuto di non aderire alle argomentazioni proposte.

Con riguardo alla esatta ricostruzione del percorso causale che aveva condotto all’infortunio, la difesa sembrava dubitare del fatto che la perdita di equilibrio fosse elemento idoneo e sufficiente ad esprimere il giudizio esplicativo circa la causa dell’infortunio. Il giudice di primo grado aveva già ritenuto che la scala messa a disposizione del lavoratore fosse inidonea a prevenire il rischio di caduta, sia a causa del cattivo stato d’uso dei dispositivi antisdrucciolevoli, sia a causa dell’assenza di presìdi anticaduta quali la piattaforma e il guardacorpo. Nella sentenza di appello risultava ulteriormente chiarito per quale ragione il fatto generatore della perdita di equilibrio fosse da considerare non dirimente nella prospettiva del rischio al quale è esposto il lavoratore in caso di lavori in quota. Si tratta, evidentemente, del rischio di caduta da altezze tali da comportare l’eventualità di lesioni o decesso. Letta da questa posizione prospettica, la motivazione era esente da vizi, avendo puntato l’attenzione, con logica ineccepibile, sulla regola cautelare idonea ad evitare il rischio di caduta e, a monte, sull’antecedente causale di una caduta involontaria, ossia sulla perdita di equilibrio. In tal senso, l’asserita mancanza di certezza processuale circa l’esatta dinamica dell’infortunio aveva trovato puntuale e coerente replica nel provvedimento impugnato.

Anche sotto il profilo della dedotta abnormità del comportamento del lavoratore, gli Ermellini hanno ricordato che il datore di lavoro può invocare tale causa di esclusione del nesso di causalità tra la sua condotta e l’evento ove abbia tenuto un comportamento pienamente rispettoso della normativa antinfortunistica. Nel caso concreto, l’inidoneità delle misure antinfortunistiche, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, non era stata desunta dal concreto aggiramento di esse da parte del lavoratore, né la condotta del lavoratore era idonea, per le regole cautelari che i giudici di merito avevano ritenuto essere state violate dal datore, a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere da quest’ultimo. La difesa aveva omesso di confrontarsi con le specifiche violazioni richiamate nella sentenza in relazione alla scelta della scala a pioli e alla conformazione di essa; né aveva mostrato di aver considerato che nella sentenza impugnata fosse presente specifica replica alla censura inerente alla esperienza e formazione del lavoratore. In proposito, dal Palazzaccio hanno richiamato l’orientamento interpretativo della Corte di legittimità, a mente del quale non può configurarsi un rischio ‘eccentrico’, concretato dall’imprudenza del lavoratore e idoneo ad escludere il nesso di causa tra la condotta o l’omissione del datore di lavoro e l’infortunio, in caso di assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati ai lavoratori.

La redazione giuridica

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